Gli incastri della grossa Virtus Solo Djordjevic può allenarla e lo sta facendo benissimo
Alta, pesante e aggiunge un pivot. Prende forma la squadra di Sasha
L’attualità imprevista narra di una Virtus già quadrata, aggressiva, reduce da tre vittorie consecutive di cui una nel debutto esterno in Eurocup e, quindi, perfettamente in linea se non più avanti rispetto alle attese di inizio stagione. Domani, contro la Reyer, il primo vero test «da adulti», per tracciare un intertempo del lavoro svolto. E intanto è già arrivato un rinforzo, il centro della nazionale argentina vice campione del mondo. Perché «imprevista»? Perché il precampionato era stato faticoso, se non zoppicante, e l’infortunio di Teodosic aveva gettato un’ombra di sconforto alla quale s’è sommata l’ansia di vedere la squadra così corta sul perimetro. Poi, dal mercato, è però arrivato un lungo. S’è riaperto così il dibattito estivo sui criteri di costruzione di questo roster, anomalo rispetto alle tendenze recenti e sicuramente inusuale per un pubblico disabituato ad avere confidenza con i valori dei piani alti del campionato e soprattutto dell’Eurocup. Djordjevic, che quei valori li conosce, è andato dritto per la sua strada.
Il risultato è stato un florilegio di prudenti perplessità. Nessuno ha ovviamente i galloni e l’esperienza per discutere le scelte del tecnico, ma al tempo stesso la Bologna bianconera s’è presa qualche giorno d’attesa per vederle all’opera e comprenderne l’efficacia. Con una parafrasi calcistica, oggi si può dire che la squadra somiglia nella sua genesi all’Atalanta di Gasperini: nessuno tranne Djordjevic potrebbe allenare la Virtus allestita da Djordjevic. E lui, che ne è il titolare, la allena molto bene.
Con un’altezza media di due metri e un tonnellaggio di oltre 96 chili, è un roster grosso, muscoloso e impenetrabile. Seppur modesti, gli avversari finora incontrati nelle gare ufficiali si sono schiantati contro la muraglia difensiva che occupa l’area, rende impossibile il tiro da vicino, fa male nello scontro fisico. Dovendosi via via allontanare dal ferro, gli attacchi avversari in corso di partita finiscono per cucinarsi, perdere lucidità, abbassare le percentuali. La doppia dimensione dei lunghi, che hanno piedi veloci, possono cambiare sui pick’n’roll o seguire con rapidità i tagli, toglie agli avversari vantaggi sui miss match difensivi. La qualità dei trattatori di palla (e finora s’è visto solo Markovic) manda a canestro Hunter e Gamble nelle loro conclusioni più efficaci (quelle ravvicinate). Ora Delìa in coppa aggiunge ulteriore peso sotto canestro, reparto dal quale inevitabilmente scivolerà fuori dalle rotazioni Baldi Rossi. È complesso immaginare Hunter da 4 in attacco, non potendo aprire il campo, ma Sasha ci crede. Finora raramente lui e Gamble hanno condiviso il parquet, mentre Ricci si è dimostrato l’aggiunta di sostanza e qualità che molti prevedevano dopo la stagione divina giocata a Cremona. Tutti questi lunghi sono in controtendenza con lo «small ball» predicato dai coach negli ultimi anni. Come Djordjevic riesca ad assemblarli è uno dei segreti che potranno trasformare la Segafredo da ottima squadra a squadra vincente.
E il perimetro? Un italiano arriverà, da qui a un mesetto, per completarlo. L’impiego costante di Pajola è funzionale alla sua crescita, ma il rientro di Teodosic sigillerà un settore dove i due serbi e Weems sembrano intoccabili nei finali di partita. Salvo che l’americano, fin qui esaltante, non sia quel finto 4 col quale è possibile mescolare le carte della tattica. A proposito di Milos: domani dovrebbe andare per la prima volta a referto. Ma Venezia è un esame da passare con un bel voto, senza emozionanti forzature.