Il PalaDozza ai piedi di Milos il fenomeno
Il PalaDozza ai piedi di Teodosic: così ha unito due generazioni di tifosi virtussini
Ha preso il 44 perché il 4 è appeso al soffitto in onore del leggendario capitano Roberto Brunamonti, ma i virtussini lo amano già quasi quanto i miti del passato. Milos Teodosic metteva le mani avanti, «non giocherò sempre così bene», mentre il PalaDozza era ai suoi piedi. Ama parlare poco, il suo palcoscenico è il campo. La barba folta e scura, quell’andatura che non ha nulla dei machi americani della Nba, poi un lampo crea un assist, piazza un canestro. Ogni tripla il dito alzato per ringraziare il pubblico, gestualità già entrata nel cuore della gente. Ci ha messo quarantacinque secondi: il primo pallone toccato con la maglia della Segafredo s’è trasformato in un canestro da tre punti. La riservatezza la tiene per i microfoni, in campo la personalità esce naturalmente.C’è stata la partita della Virtus con la Reyer, poi la partita nella partita, quella di Teodosic al debutto, poi la partita dei tifosi, travolti dal talento del serbo, incapaci di restare seduti ad ogni soffio del loro campione, impegnati a cercarsi con lo sguardo dopo ogni giocata. I tifosi più âgé ripescano dal passato i ricordi di Richardson, di Danilovic, qualcuno arriva fino a McMillian. Loro, possessori di una lunga antologia scritta da campioni vincenti, allargano il sorriso e applaudono. Sono i più giovani ad esaltarsi, reduci da annate difficili nelle quali innamorarsi della Virtus o di qualche giocatore era più faticoso. Adesso viene facile come a Teodosic trovare un compagno smarcato. Mentre Milos dominava la partita con Venezia, l’arena ribolliva. Questo esercito di fanciulli estasiati vedeva realizzare in campo giocate da sogno, un highlight dietro l’altro, tracimando nella sbornia finale. Per la prima volta dal ritorno in serie A, la Virtus batte la Reyer. Per la prima volta dal ritorno in serie A il livello di pallacanestro della squadra può consentire a questi ragazzi in tribuna di non aggrapparsi solo ai ricordi dei loro genitori. E probabilmente, pure loro, i padri, si scrollano di dosso la scimmia dello scetticismo.
Al gruppo s’unisce anche Massimo Zanetti, che Teodosic ha deciso di pagarlo profumatamente per dare l’assalto allo scudetto e all’Eurolega. È presto, non è nemmeno metà ottobre. Ma qualcosa è già cambiato. L’altr’anno la Virtus più facilmente stava sopra tutta la partita e poi perdeva in volata. Adesso il mondo bianconero s’è capovolto.
Teodosic con la sua classe simboleggia non solo l’ambiziosa risalita bianconera, ma pure il trait d’union fra due generazioni che rischiavano di non incontrarsi mai. I padri, cresciuti a pane e Danilovic, nati negli anni di Brunamonti, di Villalta, di Sugar Ray, e i figli, ai quali avevano tentato di trasmettere la stessa passione provando a fargli piacere, con tutto il rispetto, squadrine senza sale, senza peso e senza futuro. È forse questo il pensiero che si passavano di sguardo in sguardo i virtussini domenica sera. In tribuna gli abbonati da una vita, imbiancati dal tempo e che «la sanno lunga», il famoso pubblico competente, e i ragazzini in cerca di un eroe tutto loro, da poter imitare al campetto e affiggere al muro della camera da letto. Quarantacinque secondi dopo il suo ingresso in campo, Teodosic era già finito su quei muri e dentro quei cuori. All’intervallo della partita, la fila per comprarne la maglia. Con i pugni chiusi al cielo, Zanetti ha poi festeggiato la vittoria che tiene la Virtus in testa alla classifica: non facile, non regalata, e quindi pesante. Poi non giocherà sempre così, l’ha detto anche lui. Ma la Virtus è già sua.