Strage, il nero Vinciguerra in aula E la Corte bacchetta il ministero
L’ex terrorista deporrà al processo Cavallini. I giudici: Roma non ci risponde
Nonostante sia alle battute finali, il processo per la strage alla stazione non risparmia colpi di scena. Ieri il presidente della Corte d’Assise Michele Leoni ha accolto la richiesta delle parti civili di chiamare sul banco di testimoni Vincenzo Vinciguerra, uno degli ultimi «irriducibili» dell’eversione di destra.
Settant’anni, di cui gli ultimi quaranta trascorsi in carcere, Vinciguerra, militante di Ordine Nuovo e poi di Avanguardia nazionale, fu autore della strage di Peteano nel ’72. Latitante per anni in Spagna insieme a Stefano Delle Chiaie, dove entrambi si appoggiarono alle rete franchista e anticomunista Aginter Press prima di riparare in Sud America, Vinciguerra si consegnò quando capì che in Italia dal 1969 aveva operato una strategia della tensione che, secondo le sue rivelazioni, accomunava Ordine nuovo, An e servizi segreti. Non ha mai chiesto benefici di legge e non si è mai pentito, ma le sue dichiarazioni sono state molto importanti sia per i magistrati che hanno indagato su piazza Fontana che per i giudici istruttori di Bologna. In un’intervista rilasciata a giugno dal carcere ha parlato di un «patto di omertà» tra i Nar e Roberto Fiore di Forza nuova. Per l’attentato di Peteano e per il fallito dirottamento di un aereo fu condannato con Vinciguerra anche Carlo Cicuttini, morto nel 2010 e latitante per più di 20 anni in Spagna. Ieri il giudice Leoni ha lanciato un duro j’accuse contro il Ministero della Giustizia perché «da luglio sta ignorando una richiesta di documenti sull’estradizione e sulle dichiarazioni successive di Cicuttini, reiterata il 1° ottobre ma a cui nessuno si è degnato di rispondere». «Sarebbe molto grave — ha concluso il giudice — che fosse totalmente ignorata la richiesta di una Corte, soprattutto per un processo come questo».
Insieme a Vinciguerra mercoledì prossimo è stato convocato anche l’ex generale del Sismi Armando Sportelli, in relazione alla pista palestinese e all’ipotesi di una ritorsione del Fplp sul territorio italiano per la rottura del cosiddetto «lodo Moro». Sulla commissione d’inchiesta Moro la difesa aveva chiesto che fosse sentito anche l’ex parlamentare del Pd Gero Grassi, che dopo aver letto le carte ancora secretate della commissione Moro, si è detto convinto dell’esistenza di «un’altra verità» sulla bomba alla stazione. La Corte ha rigettato la richiesta di testimonianza, rimbalzando eventualmente alla Procura la possibilità di chiedere alla Presidenza del Consiglio l’acquisizione di quegli atti, che più volte sono stati negati ai legali di Cavallini Gabriele Bordoni e Alessandro Pellegrini. «Sembra che la difesa di Cavallini — ha detto in aula il pm Enrico Cieri — tenti sempre di insinuare nel processo la pista palestinese nonostante, come una tela di Penelope, non abbia mai portato da nessuna parte».
Accolta invece la richiesta di acquisire le tre perizie svolte in passato sui capelli di Francesca Mambro, il cui colore fu elemento fondamentale della deposizione di Massimo Sparti, il grande accusatore dei Nar.
Richiesta a Bonafede
Chiesti da tre mesi i documenti su Cicuttini, la Corte: grave che non abbiano mai risposto