I cent’anni della Filicori Zecchini Il caffè dall’aroma «artigianale»
Dalla bottega in via Orefici al gruppo che fattura 18 milioni «Facciamo scuola anche ai baristi». In arrivo la svolta green
Giovanni Filicori amava accertarsi di persona che il «suo» caffè, selezionato con criteri rigorosi di eccellenza, fosse servito in tazzina con la stessa cura. Tempistica perfetta nelle fasi di preparazione, pulizia della macchina, temperatura ottimale. «Girava i bar, spesso in incognito», racconta con orgoglio il figlio Luca. In quel gesto di ricerca ostinata è racchiuso il segreto della longevità della Filicori Zecchini: cent’anni esatti dalla prima pietra, e le stesse due famiglie (ciascuna in società al 50%) — dai nonni ai nipoti — alla guida dell’azienda. Oggi nel board del gruppo, con sede e torrefazione a Osteria Grande, siedono, oltre a Luca, la sorella Costanza e Luigi Zecchini jr. E il 25 si festeggia.
Il gran capitano di industria Giovanni, che dal suo ingresso, nel 1964, ha rivoluzionato la produzione, non è più in azienda solo da qualche mese. Solo perché la salute non glie lo permette.
La storia di famiglia è dunque partita da pochi soldi messi insieme da Aldo Filicori e Luigi Zecchini, due amici decisi a rialzarsi alla fine della seconda guerra mondiale. «Mio nonno era orfano, è stato allevato dal campanaro della chiesa di Granarolo — ricorda il nipote — Il piccolissimo capitale per aprire l’attività è arrivato dalla dote della nonna, figlia di un commerciante di vini di Bomporto». Ecco dunque, nel 1919, la prima Bottega del Caffè in via Orefici e la prima torrefazione artigianale in via Oberdan. E quell’aroma invitante che si sprigionava per le vie del centro. Lo stesso aroma probabilmente che persiste nello stabilimento alle porte della città. Perché se oggi la linea è automatizzata, e ogni hanno viene lavorato più di un milione di kg di caffè, destinato il 90% ai bar( la grande distribuzione è solo per il mercato locale ), il concetto dell’ artigianalità è rimasto invariato. Intanto, i due giovani del 1919 sono cresciuti in fretta: nel giro di due anni erano già imprenditori benestanti pronti a investire in nuovi negozi (commerciavano anche in prodotti coloniali). Nel 1933 erano i fornitori ufficiali della esigente Casa reale dei Savoia.
Ma a dare la svolta industriale è stato Giovanni, lui che voleva fare il farmacista ma fu spinto dalla famiglia a laurearsi in economia e commercio. Ad ogni modo, prese subito tutto sul serio. Nei primi anni 80, andò a regime lo stabilimento che oggi occupa 48 persone (oltre al centinaio di agenti mono e pluri mandatari). «A differenza dei nostri competitor — marca le differenza Luca Filicori — Noi siamo importatori diretti. Abbiamo rapporti diretti con le ditte produttrici, dal Brasile, dall’India, e da altri Paesi, con intermediari per le realtà più piccole». Ci sono aziende che raccolgono i chicchi (a mano) solo per loro, tanto da brandizzare il sacco della fornitura. «Abbiamo già fatto acquisti fino al 2021». Poi c’è la tostatura differenziata, separata: ogni varietà, dalla arabica alla robusta ha tempi di «cottura» diversi che vanno rispettati. Le diverse miscelature avvengono in un secondo tempo. «Nelle nostre confezioni — precisa il manager — non vedrà mai chicchi di colore diverso». È quello che gli ha insegnato suo padre. Alta qualità. Fino alla tazzina. Tanto che alla Filicori Zecchini si sono fondati la scuola per formare il barista perfetto. Dal 2001 esiste infatti il Laboratorio dell’espresso: c’è n’è uno a Bologna, uno a Milano e uno nella sede di New York. Si impara l’espresso ma anche molti altri metodi di estrazione. E gli insegnanti girano tra i clienti, «tutti selezionati». Fino a formare 1300 persone l’anno.
Dall’antica bottega di via degli Orefici, il marchio ora vola in 43 Paesi originando un fatturato di 17,6 milioni (il valore del 2018) e in crescita costante di circa il 9%. Se gli eredi hanno investito nella crescita, si deve a papà Giovanni, ancora, l’invenzione del marchio Kavè, il top della gamma, con un gusto studiato per le pasticcerie «quando tutti — puntualizza il figlio — giocavano al ribasso». Luca, invece, per esempio, si è inventato le miscele Bononia e Felsina «poi arriverà a San Luca», per i filter coffee del mercato estero. Così Bologna va a spasso per il pianeta. Altra innovazione, la strada green: oltre alle miscele bio già previste, presto tutte le capsule per le macchine espresso saranno interamente compostabili mentre la confezione sottovuoto è di plastica riciclabile. «Basterà conferirla nel casonetto della differenziata». E questa non durerà, di certo, cent’anni.