Di Maio: nessun patto per ora Pd, c’è chi frena su Bonaccini
Il leader M5S non attacca Bonaccini, ma indica il modello umbro E al Nazareno c’è ancora chi non esclude un candidato civico
Tra il M5S e il Pd «non sono in questo momento all’ordine del giorno altri patti regionali». All’indomani della blindatura sul bis di Stefano Bonaccini da parte del segretario del Pd Nicola Zingaretti, il leader politi- co del M5S Luigi Di Maio frena sull’alleanza con i dem in Emilia-Romagna. E, pur senza chiedere un passo indietro del governatore dem, torna a indicare nel modello «civico» trovato in Umbria la strada da seguire. Ma se la linea ufficiale del Pd è volta a blindare la candidatura di Bonaccini, quella ufficiosa a Roma non disdegna di valutare scenari alternativi. A maggior ragione in caso di sconfitta in Umbria.
Tra il Movimento 5 Stelle e il Pd «non sono all’ordine del giorno, in questo momento, altri patti regionali». All’indomani della blindatura sulla ricandidatura di Stefano Bonaccini da parte del segretario nazionale del Pd Nicola Zingaretti, il leader politico del M5S Luigi Di Maio butta in avanti la palla dell’alleanza con i dem anche in Emilia-Romagna. E pur senza chiedere apertamente un passo indietro del governatore, ipotesi che continua a circolare anche tra i corridoi del Pd nazionale, torna a indicare nel modello «civico», trovato in Umbria, la strada da seguire.
«A me più che i patti interessano i fatti», dice Di Maio durante un’intervista a SkyTg24 prima del suo arrivo a Italia 5 Stelle, la festa a Napoli per i dieci anni del Movimento. «E in Umbria — sottolinea il capo politico dei 5 Stelle — il fatto importante è che chi vota Vincenzo Bianconi vota un candidato presidente che non ha tessere di partito o del Movimento. Se vincerà lui, è il patto, nessun assessore verrà indicato dalle forze politiche, si sceglierà il meglio». Pur avendone l’occasione Di Maio non affonda il colpo contro Bonaccini, ma indicando il modello umbro torna di fatto a ribadire le resistenze dei pentastellati di fronte al sostegno a un uomo del Pd. «Il dialogo è in corso da settimane e proseguirà», assicurano ai piani alti della trattativa tra le due forze che a Roma sono al governo insieme da settembre. Ma al voto in EmiliaRomagna mancano oltre 100 giorni e dunque tutti concordano sull’opportunità di aspettare due settimane per vedere come andrà in Umbria l’asse giallorosso. «L’alleanza di governo con il M5S è nata per arginare la destra — dice da Bologna il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano — ma non basta: bisogna costruire insieme un’idea di società alternativa e bisogna farlo anche nei territori dove il pericolo della destra è ancora grande. Non ci sono automatismi, ma anche in Emilia-Romagna vanno valutate le condizioni per allargare la maggioranza al Movimento 5 Stelle».
Ma se la linea ufficiale del Pd è volta a blindare la candidatura di Bonaccini in Emilia-Romagna, quella ufficiosa non disdegna di valutare scenari alternativi. Insomma, al netto delle dichiarazioni, non ci sono tabù, a maggior ragione in caso di sconfitta in Umbria. A quel punto, ragionano dalle parti del Nazareno, l’asse Pd-5 Stelle alla prima prova dei fatti uscirebbe con le ossa rotte e un passo indietro del governatore uscente potrebbe aiutare un rilancio della coalizione in Emilia-Romagna (ma c’è da dire che in questo caso anche la soluzione civica ne uscirebbe parecchio indebolita). Al contrario, una vittoria in Umbria andrebbe a rasserenare il clima politico, rafforzerebbe la tenuta del governo e permetterebbe a Zingaretti di insistere con gli alleati che il nome di Bonaccini è quello giusto. A oggi l’ipotesi di un piano B con un altro candidato, magari vicino al Pd ma proveniente dalla società civile, viene data al 40%, che non è poco. Anche perché il Pd nazionale è consapevole che la candidatura del presidente di Viale Aldo Moro viene vissuta come un ingombro da Di Maio. Una partita delicatissima, quindi, che i dem vogliono provare a giocare su entrambi i fronti. E anche molto complicata, perché quel che potrebbe facilitare l’intesa con i 5 Stelle allo stesso tempo provocherebbe le ire del partito regionale, che non è per nulla disposto a cedere a Roma la scelta del candidato per l’Emilia-Romagna. In questo senso va letta la mossa di mettere il nome di Bonaccini nel simbolo del Pd, pensata proprio per stoppare certi ragionamenti che a Roma si continuano a fare.