La rinascita di Bologna nell’era del boom
Biblioteca d’arte e di storia di San Giorgio in Poggiale Da oggi al 15 gennaio le immagini di Fototecnica
La mostra La rinascita di Bologna dal Dopoguerra agli anni 80
Bologna e le sue fabbriche. In zone della città come Mazzini, Cirenaica e Bolognina, prima che si trasferissero oltre il perimetro urbano, nei Comuni limitrofi. Un deposito del pastificio Barilla, l’esterno della Lamborghini Trattori a Cento, la Cartiera del Maglio a Borgonuovo, la Viro a Zola Predosa, l’Intertaba, oggi Philip Morris, ancora a Zola e la catena di montaggio del ciclomotore Guizzo a San Lazzaro di Savena. Immagini del «miracolo economico bolognese», ben diverso da quello nazionale basato sulle grandi fabbriche visto che molte industrie bolognesi avevano invece le proprie radici nelle botteghe di fine Ottocento, segnate da una matrice artigianale.
La fotografia industriale si conferma linguaggio capace di raccontare come pochi un territorio e la sue vicende produttive. Grazie a fondi come quello di Fototecnica, ditta nata nel 1948 da un poker di operatori fotografici formatisi allo Studio Villani, centro di gravità in città per l’intero settore.
Dopo vari cambiamenti Fototecnica proseguirà fino ai primi anni Ottanta, contando nel momento di massimo fulgore su una trentina di lavoratori. Il suo archivio è stato acquisito nel 1992 dalla Fondazione Carisbo. Oltre 2.500 scatole per circa 40mila negativi su lastre di vetro, pressoché indistruttibili e non deteriorabili, contrariamente alle successive pellicole. Alcune di esse, che ricoprono un’intera parete nel piano interrato di San Giorgio in Poggiale, si possono vedere ora esposte al piano superiore.
La classificazione delle prime cinquemila lastre 18x24, che proseguirà l’anno prossimo con altre cinquemila, ha partorito schede già consultabili sul frequentato sito di Genus Bononiae. E ha prodotto una prima mostra, visitabile da oggi al 15 gennaio 2020 in via Nazario Sauro, 20/2, peraltro a pochi passi dalla sede di Fototecnica. «Bologna s’industria. La rinascita economica dal Secondo Dopoguerra agli anni ’80 nelle immagini dell’archivio Fototecnica», a cura di Cinzia Frisoni, prevede anche quattro incontri di approfondimento e si compone di 110 foto.
Stampe attuali provenienti da scansioni digitali degli originali, divise in dieci sezioni tematiche. Comprendenti immagini di vita in fabbrica così come servizi di moda e oggetti d’arredo. Scatti realizzati su commissione, al servizio di cataloghi e campionari, oltre che utili per documentare le proprie attività produttive. Per questo è inutile cercare immagini dei fondatori di Fototecnica, che pure aveva anche una più ridotta attività legata alla riproduzione di opere d’arte. Ci sono invece quelle fabbriche che, sottolinea Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae, «hanno svolto a Bologna un’attività capace di precorrere i tempi con grande qualità. Grazie anche al ruolo decisivo svolto dall’Istituto Aldini Valeriani. Credo non ci si sia ancora resi conto a sufficienza di quanto questo istituto abbia fatto per Bologna».
Molte di quelle fabbriche oggi non esistono più, realtà artigianali che hanno lasciato spazio a industrie meccaniche di ben altre dimensioni. Eppure, restano non solo i loro stabilimenti ma anche i prodotti, con il settore della motoristica che ha potuto contare sul supporto del Museo del Patrimonio industriale. I motori, sottolineano Roversi Monaco e Pierangelo Bellettini, direttore della Biblioteca d’arte e di storia, erano centrali nel distretto bolognese.
Motocarri, autolettighe, Bianchine e moto di ogni tipo, compresa la Motoleggera Muller Nsu inforcata dall’aitante Francesco Cavicchi, il «pugile contadino», in perfetta tenuta da ring, fatta eccezione per calzino e mocassino ai piedi. Accessori per biciclette, campionari di tessuti fantasia, servizi per dolci e ingranaggi si alternano nelle teche a mobili per ufficio, strumenti scientifici e confezioni piramidali di latte, mentre le fotografie si ponevano sempre di più al servizio della comunicazione pubblicitaria.
Con modelle che, si legge nel catalogo, «ostentano curve abbondanti e depilazioni imperfette» avvolte da improbabili reti metalliche, indossatrici di biancheria intima con guaine e busti e le prime lampade abbronzanti, nel 1962, ad affiancare i classici saloni di parrucchieria.