Corriere di Bologna

Djordjevic: la mia Virtus senza limiti

Intervista al coach: «La squadra è la mia ossessione, Teodosic può farci vincere»

- Aquino

«La mia ossessione oggi è la Virtus. Sto mettendo tutto me stesso, con il mio staff e la società in questo progetto di crescita a lungo termine, dove però c’è la parola “termine” che non mi piace». Lo dice il coach della Virtus, prima in classifica in un’intervista al nostro giornale

«Non bisogna terminare, bisogna crescere e andare avanti per fare sempre di più con tempi che vorrei accorciare ma anche con la pazienza da parte di tutti».

Sasha Djordjevic, come nasce questa Virtus sola in testa alla classifica? «Pensando a quali giocatori potessero essere dei punti di riferiment­o per Bologna. Su questo parquet sono passati grandissim­i campioni, questo è stato uno dei tasti sui quali ho spinto per portare qui Milos Teodosic. Gli ho spiegato cosa potrà dargli Bologna, la passione e il modo in cui vive la pallacanes­tro questa città, la rivalità storica fra due club. Io ho vissuto i due anni più belli della mia carriera dal punto di vista delle emozioni».

C’è stato un momento nel quale ha pensato che Teodosic non sarebbe diventato un giocatore della Virtus?

«Ci sono agenti che dicono: “Your deal is done and money is in the bank” (Affare fatto, soldi in banca, ndr.), non al momento della firma. Ha voluto vedere tutte le opzioni sul tavolo e io sono stato chiaro fin dall’inizio. Come dice il suo agente, non è chi lo vuole ma come lo vuole. Milos ha capito che lo volevamo come pezzo mancante di un processo di crescita sportiva e societaria».

Anche lei ha scommesso su se stesso e su questo processo di crescita?

«Quando sono arrivato ho detto che mi piace guardare il bosco che c’è dietro l’albero. Sto mettendo tutto me stesso, con il mio staff e la società in questo progetto di crescita a lungo termine, dove però c’è la parola “termine” che non mi piace. Non bisogna terminare, bisogna crescere e andare avanti per fare sempre di più con tempi che vorrei accorciare ma anche con la pazienza da parte di tutti».

Ha lasciato la Nazionale per concentrar­si sul club?

«Sì. Penso che dopo cinque anni arrivi il momento di dire basta, gli allenatori sentono quando è il caso di farlo e cercano nuove sfide. La mia ossessione oggi è la Virtus».

Il mito dell’allenatore serbo stile sergente di ferro non esiste più?

«L’autorevole­zza la crei con la conoscenza della materie e le idee. Perché serve il pugno di ferro? Ci sono regole chiare, disciplina e rispetto dei ruoli, si lavora su questo ogni giorno. Oggi è cambiata tantissimo la comunicazi­one verso l’esterno: ognuno è proprietar­io del suo pensiero ma una volta detto a voce alta ne diventa schiavo».

Cos’è scattato lo scorso anno per trasformar­vi nella squadra che ha dominato la Final Four di Champions League?

«Abbiamo lavorato sulle nostre idee, c’è voluto tempo e ci sono mancate un paio di settimane per arrivarci anche in

campionato. Si è creata empatia in poco tempo, quando arriva gente nuova deve proporre idee credibili e produrre risultati perché i giocatori crescano e diano il meglio».

Però, poi, avete cambiato tutto.

«Sì perché abbiamo voluto mettere la nostra zampa sulla costruzion­e della squadra, nell’ottica di questa progressio­ne che vogliamo ottenere».

A fine stagione sarà soddisfatt­o se...?

«Dopo l’ultima partita della stagione si tireranno le somme. Abbiamo obiettivi, ma per toccare il 10 devi aspirare a 12, se aspiri al 10 arrivi a 8 e non basta. Come insegnano i nostri vecchi maestri, bisogna lasciare un posto meglio di come l’hai trovato».

Come ha ritrovato l’Italia e Bologna?

«Io vivo a Milano e ha avuto un boom pazzesco come città, si è ingrandita e internazio­nalizzata. È anche quello che vedo nelle strade di Bologna, sento parlare lingue straniere, ci sono tanti turisti. Il basket deve andare nella stessa direzione, uscire dai derby locali e trovarne degli internazio­nali. In questo modo torneremo ai livelli di quando Basket City portava due squadre alle Final Four».

Come si è avvicinato al basket da bambino?

«Mio padre era l’allenatore della Stella Rossa e io andavo a vedere i primi allenament­i nel 1972-73. Me ne sono innamorato, poi ho visto il Mondiale vinto dalla Jugoslavia a Manila nel 1978 e mi sono detto che volevo essere come loro. Vent’anni dopo l’ho vinto da capitano e dopo 16 anni quasi lo vinco da allenatore. Pensavo solo a quello: rappresent­are il mio Paese con la medaglia al collo e l’inno in sottofondo».

Come vive la malattia del suo amico Sinisa Mihajlovic?

«Mi ha fatto tornare indietro di qualche anno perché ha dovuto affrontarl­a anche il figlio maggiore di mio fratello, che oggi ha 14 anni e sta bene. Ne aveva 8 quando si è sottoposto al trapianto, lo abbiamo portato al Bambin Gesù di Roma e ringrazier­ò per tutta la vita il professor Locatelli per come ci ha trattato. La maniera in cui sta lottando Sinisa è un messaggio mondiale straordina­rio, da brividi, e sono sicuro che vincerà alla sua maniera, con palle di ferro mai viste».

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 ??  ?? Coach Sasha Djordjevic, classe 1967, è arrivato alla Virtus lo scorso marzo e ha subito vinto la Champions League Fiba (Ciamillo)
Coach Sasha Djordjevic, classe 1967, è arrivato alla Virtus lo scorso marzo e ha subito vinto la Champions League Fiba (Ciamillo)

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