Unibo «processa» i test Invalsi
Docenti da tutta Italia per un convegno dell’Alma Mater sulla discusse prove
Test Invalsi e rilevazioni Ocse Pisa sotto la lente dei docenti da tutta Italia. La fotografia emersa dai dati è davvero così drammatica? Quante responsabilità ha la scuola? Su questo si interrogheranno oggi sotto le Due Torri circa 400 addetti ai lavori che hanno chiesto di partecipare alla prima giornata di studi nazionale organizzata dall’Alma Mater. A guidare i lavori il linguista di Unibo Nicola Grandi: «La politica, con il suo linguaggio di pancia, ha le sue colpe».
Quanto raccontano degli studenti (e della scuola) di oggi i test Invalsi? È giustificato l’allarmismo che segue tutti gli anni la pubblicazione dei dati sugli Invalsi e dei risultati delle rilevazioni Ocse Pisa? Secondo l’Alma Mater, prima di qualunque valutazione, bisognerebbe affrontare la questione «in modo competente e non propagandistico». E un esame di coscienza se lo dovrebbe fare anche la politica. Ecco quindi che il dipartimento di Filologia classica e Italianistica di Unibo, con la collaborazione di Giscel, il Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica, ha organizzato sotto le Due Torri il primo convengo nazionale (oggi dalle 9 alle 18,30 nel salone Bolognini in San Domenico) sui risultati Invalsi dopo la diffusione dell’ultimo report. All’iniziativa, che si intitola Leggere per comprendere. A partire dai dati Invalsi si sono iscritti, in pochi giorni, più di 400 docenti e addetti ai lavori provenienti da tutta Italia.
Certo, i dati resi noti sui risultati dei test Invalsi restituiscono un quadro non molto confortante, perché «evidenziano — spiega Unibo — come gli studenti italiani abbiano difficoltà significative nella lettura e nella comprensione di un testo complesso, difficoltà nel distinguere le informazioni centrali da quelle accessorie e i fatti dalle opinioni. Un quadro complicato da una padronanza talora precaria della lingua italiana, sia a livello lessicale che a livello sintattico».
Ma non ci si può fermare a questo, secondo gli studiosi dell’Alma Mater. «Il quadro, innegabilmente negativo se analizzato in assoluto, va contestualizzato, sia storicamente sia nel quadro della società attuale, e non può essere tutto ricondotto alle responsabilità della scuola». A sostenerlo senza mezzi termini è l’ideatore del convegno nazionale, Nicola Grandi, docente ordinario di Linguistica generale dell’Ateneo bolognese e segretario della Società di Linguistica italiana. Intanto, secondo il docente, i dati Invalsi, pur presentando un segno negativo, mostrano un lieve miglioramento nelle competenze, sia nella macro-regione in cui è collocata l’Emilia-Romagna, sia al Sud , pur restando comunque marcato il divario tra Nord e Sud e Isole. «Il fattore che più incide sul rendimento scolastico — continua Grandi — è il livello socio-economico-culturale della famiglia di provenienza».
E la scuola? «Fin troppo facile incolparla di fronte a statistiche allarmanti. Occorre chiedersi prima di tutto quanto lo Stato abbia investito e investa nella scuola, nella formazione dei docenti, nei meccanismi di reclutamento, nell’edilizia», continua il linguista. Che vede nella politica uno degli ambiti principalmente responsabili dei risultati Invalsi: «Oggi — attacca Grandi — la classe dirigente del nostro Paese adotta modalità comunicative semplificate, con un lessico ridotto e una sintassi elementare. Come chiedere alla scuola di educare al ragionamento complesso, quando la politica parla alla pancia, più che alla testa? L’educazione linguistica è anche educazione al pensiero e non può essere un compito esclusivo della scuola, ma un dovere a cui nessuna componente della società può sottrarsi».