Le pressioni sui precari e le bugie sulla setta pedofila Le trame della Anghinolfi
Violenza privata sulle sue sottoposte, tentata estorsione ai danni di un padre perché contribuisse alle spese per la psicoterapia da 135 euro all’ora presso il centro La Cura, ma anche la tentata truffa aggravata ai danni della Fondazione vittime di reati. Dei 107 capi d’accusa contestati dai pm nell’avviso di fine indagine per l’inchiesta Angeli e demoni, notificato a 26 persone, ben 63 (alcuni in concorso) riguardano la potente dirigente dei servizi sociali della Val d’Enza Federica Anghinolfi.
La donna viene dipinta dalla Procura come il vero deus ex machina del presunto sistema di affidi illeciti. Per indurre due giovani assistenti sociali precarie a redigere relazioni che testimoniassero abusi sui minori, non avrebbe esitato a fare «indebite pressioni, approfittando della propria posizione di dominanza, del suo ruolo di membro della commissione di valutazione per l’assunzione degli assistenti sociali», facendo leva sulla falsa «supposta esistenza di una setta satanica di pedofili» dai quali bisognava difendere i bambini e che avevano anche l’abitudine di pedinare gli operatori sociali. Per questi fatti le viene contestata la violenza privata nei confronti delle due donne.
Lo spettro della setta di pedofili verrebbe agitato anche dallo psicologo Francesco Monopoli, per far credere alla consulente incaricata dalla Procura dei minori di un’audizione protetta su un ragazzino sotto i 14 anni che, dopo essere stato allontanato dai genitori, viene anche abusato sessualmente da un coetaneo, che in realtà i comportamenti sessualizzati potevano essere stati messi in atto da lui e non dall’altro. «Dopo essersi disfatto dei telefoni cellulari motivando tale condotta con la convinzione di essere intercettato — scrive la Procura —, condizionava il giudizio del perito narrandole che (il minore) era vittima di una setta di pedofili seriali, composta da personaggi potenti» e che erano già state accertate «pratiche sessuali estreme» che avevano provocato lo svenimento di alcuni bimbi. Il minore protagonista della vicenda è vittima due volte perché non solo viene allontanato dalla famiglia per abusi mai dimostrati, ma Anghinolfi e l’assistente sociale Sara Gibertini
per «isolarlo dalle figure adulte di riferimento e indurlo a rivelare falsi abusi sessuali» costringono la madre a rivelargli per la prima volta che l’uomo con cui vivevano non era il padre biologico. Un trauma al quale, appunto, si sommerà il vero abuso subito successivamente dal ragazzino da parte di un coetaneo. Anghinolfi e le assistenti sociali indagate non esitano a far sottoporre ragazzine poco più che bambine a trattamenti sanitari invasivi, consistenti in visite ginecologiche, contro la loro volontà, per dimostrare gli abusi subiti. Alla Anghinolfi vengono poi contestati due casi di tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per aver indotto i sindaci di Montecchio e Gattatico a chiedere alla Fondazione regionale vittime di abusi, fondi per le spese di psicoterapia di due minori presso il centro La Cura. Il 24 marzo 2017 la potente dirigente avrebbe minacciato i vigili urbani da lei chiamati per un diverbio nella sede dei Servizi con un padre, perché non eseguivano il suo ordine di arrestare l’uomo.