Corriere di Bologna

«Un’altra pietra», mix illegale di oggetti rifiutati

- P. D. D. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’anno scorso ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera dalla Biennale d’Arte di Venezia e tra una settimana terrà una performanc­e a Bologna nel weekend di «Arte Fiera». Nel frattempo, un’esposizion­e dello scultore americano, di origini cherokee, Jimmie Durham, si potrà vedere da oggi, inaugurazi­one alle ore 16, nel nuovo spazio Kappanoun di San Lazzaro di Savena, in via Lambertini 5. «Un’altra pietra», aperta dalle 10 alle 19 nella settimana di «Art City», dal 19 al 26, e su prenotazio­ne dal 27 fino al 29 marzo, propone una serie di opere provenient­i da collezioni private e quindi solitament­e non accessibil­i alla visione del pubblico. A rendere ancor più preziosa, oltre che gratuita, l’occasione offerta dal collezioni­sta bolognese Marco Ghigi.

Durham ha iniziato a lavorare con le pietre in Giappone, nel carcere di Yokohama, quando come detenuto era chiamato a spaccare massi per scontare la sua pena. Quel momento ha segnato l’avvio di un sodalizio fra la pietra, madre degli strumenti umani, e l’artista nato nel 1940 e cresciuto nel sud degli Usa ai tempi della segregazio­ne razziale. Nel tentativo di costruire un’altra storia del pensiero, più libera e poetica di quella raccontata dalla storia della civiltà, Durham usa le pietre per liberare energie espressive e suggerire narrazioni anticonven­zionali. In particolar­e la mostra pone l’accento sul vitalismo che nutre la pratica di Durham e lo spinge a usare la materia come puro atto.

La sua ricerca artistica verte sull’analisi critica e sulla decostruzi­one dei concetti e dei simboli fondanti del pensiero e della cultura occidental­i. Attraverso diversi materiali, la pietra in particolar­e, e linguaggi come installazi­oni, sculture, video e scritti, Durham ribalta luoghi comuni e status symbol. Nel 1973, per esempio, è divenuto un attivista dell’American Indian Movement, associazio­ne a sostegno dei diritti dei Nativi Americani e per tutti gli anni Settanta si è dedicato quasi esclusivam­ente all’attività politica, diventando inoltre direttore dell’Internatio­nal Indian Treaty Council e rappresent­ante delle Nazioni Unite.

Dedito al teatro e alla performanc­e negli anni ‘60 e ‘70, dal decennio successivo ha poi iniziato a realizzare i suoi bizzarri oggetti, spesso partendo da cose trovate o da rifiuti. Pur ricorrendo a elementi di scrittura e performanc­e, la pratica di Durham infatti si traduce soprattutt­o in sculture che assemblano oggetti quotidiani e materiali naturali. Il processo di produzione, che Durham definisce una «combinazio­ne illegale con oggetti rifiutati», è un’incarnazio­ne dell’atteggiame­nto sovversivo che da sempre contrasseg­na il suo lavoro.

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Ritratto Jimmie Durham, «Self-Portrait Pretending to Be a Stone Statue of Myself» (2006)

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