Corriere di Bologna

Sanremo, una fotografia del Paese

Anselmi: «Le polemiche ci sono sempre, vincerà chi riuscirà a far parlare di sé»

- di Paola Gabrielli

L’intervista Sessantano­ve anni di festival rivissuti nel nuovo libro dello storico bolognese di musica leggera e costume

«Sanremo? Un Pantheon vivant dove il direttore artistico scatta foto di gruppo e immortala il Paese. Ma il Paese ovviamente non ci sta tutto e allora la panoramica cambia». Ergo, il festival di Amadeus non potrà mai essere come quello di Fazio, Baglioni, Conti, eccetera. Eddy Anselmi, bolognese, storico della musica leggera e del costume, giornalist­a, autore tv, a undici anni dall’uscita del suo almanacco illustrato sulla manifestaz­ione per antonomasi­a della canzone italiana, dal 14 gennaio è in libreria con il volume Il Festival di Sanremo. Sottotitol­o: 70 anni di storie, canzoni, cantanti e serate. (De Agostini, 800 pagine, 19,90 euro). Data la mole e le informazio­ni contenute, qualcuno lo ha già ribattezza­to «La Bibbia». Se ne sentiva il bisogno? La risposta è ovviamente sì. Perché Sanremo, come ha scritto, «è vario, come la vita», e pazienza se quasi sempre i versi delle canzoni in gara sono mediocri. In qualche modo contengono «qualcosa di vero e di eterno». Rispetto alla pubblicazi­one precedente, «questo libro, sempre suddiviso per decenni, è una narrazione», ci anticipa l’autore, che lo presenterà il 31 gennaio alla Biblioteca Salaborsa (ore 18) e sarà ospite fisso de «L’altro Festival» condotto da Myss Keta, in onda su Raiplay. Scorrendo il libro, si ha la sensazione che ci scorra tra le mani la colonna sonora della nostra vita. «Racconta le storie del nostro Paese. Gli svedesi hanno San Giovanni, gli americani il Ringraziam­ento, noi abbiamo Sanremo. È un’iperbole, chiaro, ma al di là del business, in quei giorni se ne parla al lavoro, in famiglia, al bar».

Settant’anni fa si sarebbero immaginati che Sanremo sarebbe ancora vivo e vegeto?

«No. È rimasto perché ha saputo sopravvive­re alle crisi, come quella degli anni bui, specie tra il 1973 e il 1975, quando il Comune cercò di tenere in piedi questo baraccone insieme agli impresari del turismo. Tanto che persino la Rai, anche se malvolenti­eri, ci andava, e le radio libere trasmettev­ano le canzoni che vincevano. Da lì è rinato il rilancio».

È vero che da quando segue il festival si è perso solo una puntata?

«Vero. Era un martedì del 1988. Dovevo uscire, puntai il registrato­re, ma qualcosa non funzionò. La recuperai tempo dopo. Avevo una fidanzata con l’animo rock e non poteva stare tutte le sere a vedere Sanremo».

Domanda a bruciapelo: chi vinse poi nel 1988?

«Massimo Ranieri con Perdere l’amore».

Sanremo non sarebbe Sanremo senza polemiche, ultima delle quali è legata ad Amadeus e l’ormai famigerato passo indietro.

«Amadeus ha detto una cosa tipo “Chiamo Francesca Sofia Novello perché è sempre stata un passo indietro rispetto a Valentino Rossi”, ma ho capito anche l’altra lettura. Le polemiche ci sono sempre. Nel 2020 abbiamo grandi aspettativ­e, nel 1954

Tutte le mamme, la canzone che vinse, diceva che le mamme “son le bellezze del bene profondo fatto di sogni, di rinunce e d’amor”».

Perché Sanremo è sempre Sanremo?

«Perché è una gara».

In certe edizioni le canzoni sono state in secondo piano.

«E quelle edizioni non funzionava­no. Sanremo è come un Mondiale di calcio. Se ci sono belle partite con gol spettacola­ri ha successo, il resto è contorno».

Che edizione sarà quella dal 4 febbraio?

«Un’edizione che non potrà fare a meno della lezione di Baglioni, contempora­nea, con una varietà di nomi e carriere da poco partite. Inoltre, non ci sarà il gioco al massacro delle eliminazio­ni. Lo prevedo bello. Penso ci possano essere delle canzoni che raccontano i nostri tempi. Se belli o peregrini lo vedremo».

Lo scorso anno era più per Mamhood o Ultimo?

«Ultimo ha scritto un “poppettino” classico con buona padronanza dei fondamenta­li ma tutto sommato banale, Mamhood ha presentato un pezzo dirompente cantato benissimo. Un miracolo che

Soldi abbia vinto».

Ha un festival e una canzone del cuore?

«Sanremo si sceglie sempre per biografia, per ciò che ti capita nella vita. Io ero felice nel 1989 ed era quello. La mia canzone, poi, cambia continuame­nte».

L’Emilia Romagna è sempre ben rappresent­ata.

«Faccio un discorso ancora più di campanile e parlo dei bolognesi. Il primo e il festival li vinse Nilla Pizzi. Pochi anni dopo, Giorgio Consolini. Poi toccherà a Morandi, gli Stadio. Quest’anno c’è Elettra Lamborghin­i».

Un bel salto da Pizzi a Lamborghin­i.

«Filologica­mente corretto. Una signora nata nel 1919, ex operaia alla Ducati, con una storia di grande indipenden­za ed emancipazi­one in un mondo difficilis­simo. L’altra, un’ereditiera nata nel 1994…».

Ci si lamenta delle poche donne al festival.

«Ma la situazione è più drammatica con gli autori. Sulle 69 canzoni vincitrici della storia, solo 9 sono firmate da almeno una donna tra gli autori. La prima fu nel 1975, era Ragazza del sud, una delle canzoni più antifemmin­iste della storia. Una sola vede due donne: Fiumi di parole dei Jalisse».

Chi vincerà quest’anno?

«Chi riuscirà a far parlare di sé. Come in campagna elettorale».

I bolognesi

Il primo festival lo vinse Nilla Pizzi, pochi anni dopo Giorgio Consolini. Poi toccherà a Morandi e agli Stadio. Quest’anno c’è Elettra Lamborghin­i

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Memoria Nilla Pizzi, nata a Sant’Agata Bolognese nel 1919, vinse le prime due edizioni, nel 1951 e 1952

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