Corriere di Bologna

LA PAURA DEL GIORNO DOPO

- Di Claudia Baccarani

«Ah, ma dal 27 poi...». Il 27, cioè il giorno dopo il 26, data delle elezioni regionali, come l’Armageddon, oppure la puntata finale di Games of Thrones o anche l’assedio a Hogwarts, a seconda di quale sia il vostro immaginari­o. Chi stia da una parte o dall’altra, chi sia il Bene e il Male, lasciamo «ai posteri l’ardua sentenza», per dirla con Manzoni. C’è un venticello, però, che entra nei bar, mulinella sotto i portici, si infila negli uffici come uno spiffero, un’aria che viene sussurrata o già gridata: «Ah, ma dal 27 qui cambia tutto...». Cresce l’aspettativ­a per queste elezioni, vissute con ansia da chi teme il ribaltone (questa volta dall’altra parte non ci sono Guazzaloca e Casini, ma Salvini e Borgonzoni) e con frenetica attesa da chi in quel ribaltone crede e confida. Come e più che nel 1999, perché gli animi sono aizzati dai social, incattivit­i dalla crisi economica e dalla manutenzio­ne perenne a cui è inchiodato l’ascensore sociale, pieni di rivalsa, dagli Appennini alla battigia romagnola. Soffia sempre più forte, in questo finale di partita, il venticello del cambiament­o e pare non essere solo virtualdig­itale, questo soffio che spira sull’Emilia-Romagna. Di sondaggi non si può parlare, ma circolano, eccome: non rassicuran­o gli animi di chi si schiera per lo status quo (magari pure un po’ turandosi il naso) ma nemmeno danno certezze sul nuovo che avanza. Qui non si tratta più di politica, o comunque non solo; non è ragione, ma sentimento.

Perché il cambiament­o, in sé, è un valore e lo dovrebbe essere ancora di più in democrazia. Cambiare è vedere (e affrontare) le questioni da un punto di vista altro, da angolazion­i diverse, è rovesciare i teoremi per trovare nuove soluzioni. È scrostare le inevitabil­i sedimentaz­ioni del potere costituito. Ma in Emilia-Romagna, e fu lo stesso a Bologna nel 1999, cambiare viene vissuto da una larga fetta della popolazion­e (forse già in minoranza? Solo le urne lo potranno dire) come se si mettessero in discussion­e i fondamenti, i valori della propria stessa esistenza. Nel Novecento, si chiamavo scontro tra ideologie. Come se all’improvviso arrivasse uno da fuori a dirvi che avete sbagliato tutto, voi, i vostri padri e i vostri nonni. Lo stesso Salvini, che sulle contrappos­izioni forti ha costruito la sua immagine pubblica, a Maranello qualche giorno fa ha parlato di voto «come scelta di vita». Invece in una democrazia matura il voto esprime il consenso del momento verso questo o quel partito, movimento o lista che dir si voglia, non lo stravolgim­ento delle regole del vivere comune, costituzio­nalmente garantite. Ecco, questo dovrebbe essere lo spirito, da una parte e dall’altra. Andare a votare senza avere paura del dopo. Ma, come si diceva, non è più questione di ragione.

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