LA PAURA DEL GIORNO DOPO
«Ah, ma dal 27 poi...». Il 27, cioè il giorno dopo il 26, data delle elezioni regionali, come l’Armageddon, oppure la puntata finale di Games of Thrones o anche l’assedio a Hogwarts, a seconda di quale sia il vostro immaginario. Chi stia da una parte o dall’altra, chi sia il Bene e il Male, lasciamo «ai posteri l’ardua sentenza», per dirla con Manzoni. C’è un venticello, però, che entra nei bar, mulinella sotto i portici, si infila negli uffici come uno spiffero, un’aria che viene sussurrata o già gridata: «Ah, ma dal 27 qui cambia tutto...». Cresce l’aspettativa per queste elezioni, vissute con ansia da chi teme il ribaltone (questa volta dall’altra parte non ci sono Guazzaloca e Casini, ma Salvini e Borgonzoni) e con frenetica attesa da chi in quel ribaltone crede e confida. Come e più che nel 1999, perché gli animi sono aizzati dai social, incattiviti dalla crisi economica e dalla manutenzione perenne a cui è inchiodato l’ascensore sociale, pieni di rivalsa, dagli Appennini alla battigia romagnola. Soffia sempre più forte, in questo finale di partita, il venticello del cambiamento e pare non essere solo virtualdigitale, questo soffio che spira sull’Emilia-Romagna. Di sondaggi non si può parlare, ma circolano, eccome: non rassicurano gli animi di chi si schiera per lo status quo (magari pure un po’ turandosi il naso) ma nemmeno danno certezze sul nuovo che avanza. Qui non si tratta più di politica, o comunque non solo; non è ragione, ma sentimento.
Perché il cambiamento, in sé, è un valore e lo dovrebbe essere ancora di più in democrazia. Cambiare è vedere (e affrontare) le questioni da un punto di vista altro, da angolazioni diverse, è rovesciare i teoremi per trovare nuove soluzioni. È scrostare le inevitabili sedimentazioni del potere costituito. Ma in Emilia-Romagna, e fu lo stesso a Bologna nel 1999, cambiare viene vissuto da una larga fetta della popolazione (forse già in minoranza? Solo le urne lo potranno dire) come se si mettessero in discussione i fondamenti, i valori della propria stessa esistenza. Nel Novecento, si chiamavo scontro tra ideologie. Come se all’improvviso arrivasse uno da fuori a dirvi che avete sbagliato tutto, voi, i vostri padri e i vostri nonni. Lo stesso Salvini, che sulle contrapposizioni forti ha costruito la sua immagine pubblica, a Maranello qualche giorno fa ha parlato di voto «come scelta di vita». Invece in una democrazia matura il voto esprime il consenso del momento verso questo o quel partito, movimento o lista che dir si voglia, non lo stravolgimento delle regole del vivere comune, costituzionalmente garantite. Ecco, questo dovrebbe essere lo spirito, da una parte e dall’altra. Andare a votare senza avere paura del dopo. Ma, come si diceva, non è più questione di ragione.