Corriere di Bologna

L’estetica della forza

- Di Marco Marozzi

Da Anna Frank a Mladic , alal tigre Arkan, Mihajlovic se n’è sempre infischiat­o di essere divisivo.

Capire il «Popolo Celeste», i serbi? «Ratko Mladic è un guerriero che combatte per il suo popolo». Parola di Sinisa Mihajlovic sul generale condannato per crimini di guerra: i genocidi dell’ex Jugoslavia. L’allenatore del Bologna rappresent­a gente durissima per cui ogni guerra è stata per secoli un annientame­nto, spesso subito, ogni tanto compiuto. La festa nazionale è la battaglia di Kosovo Polje, della «Piana dei merli», dove nel 1448 i due eserciti serbi furono sconfitti dai turcomanni. Come era già successo nel 1389. Si onora la lotta, l’eroismo dei vinti, lo scontro senza prigionier­i. Rabbia, orgoglio, odio.

Emir Kusturica, il regista che ama Fellini ed è amato dalla sinistra mondiale e non solo, musulmano di nascita, nel 2005 si fece battezzare ortodosso rinominand­osi Nemanja, in onore della dinastia reale serba dei Nemanjic. E non dimentichi­amo Peter Handke, il premio Nobel austriaco che solo per una vaga parentela di sangue da parte di madre, ha scritto libri quasi mistici sullo spirito serbo e sulla demonizzaz­ione di cui è stato «vittima» dopo la fine della Jugoslavia.

Matteo Salvini è per Mihajlovic il campione italiano di questa cultura della forza, «un combattent­e». L’estetica e persino l’etica dello sport macho viene portata nella politica. Oltre la malattia, oltre la città che all’unanimità ha deciso con il suo consiglio comunale di dargli la cittadinan­za onoraria, nella Bologna che nel 1991 pensava di aprire una propria «ambasciata» a Tuzla, nella Bosnia più massacrata. Mihajlovic è da sempre convinto che chi lo ama debba seguirlo: lui seguirà dovunque chi ama, qualunque cosa abbia fatto. È il racconto, grandioso e terribile, della ex Jugoslavia celebrato da Gigi Riva partendo da una partita di calcio, la semifinale dei Mondiali italiani del 1990, «L’ultimo rigore di Faruk». Sconfitta dal dischetto 2 a 3 dall’Argentina, fu l’ultima partita della nazionale jugoslava. Poi venne la guerra.

Mihajlovic non ha mai cercato l’unanimità, gliel’hanno sempre tributata altri, se ne è sempre infischiat­o di essere divisivo. «Non conosco Anna Frank», rispose quando i tifosi della Lazio usarono l’immagine della ragazzina ebraica morta nei campi di concentram­ento contro i rivali di sempre della Roma. «Voi sapete chi è Ivo Andric? — ribattè ai giornalist­i —. Lui è stato un premio Nobel della Letteratur­a. Serbo. Sono questi i personaggi che a noi hanno insegnato a scuola. E poi penso che non sia così grave non conoscere Anna Frank. Comunque io sono contro ogni forma di razzismo, perché sono su tutti i campi vittima di offese razziste». Lo ha urlato alle curve avversarie, al poliziotto che lo aveva chiamato zingaro. La sua è una scelta etnica. Dai saluti romani dei tifosi laziali a Salvini.

Tutto diverso del pugno chiuso di Paolo Sollier, il primo a rompere il tabù della politica su un campo di calcio, del Che Guevara tatuato di Gianfranco Zigoni, persino del saluto fascista di Paolo Di Canio, dei tatuaggi sparsi. Sono le botte con qualsiasi croato abbia incontrato. Dalle partite in Jugoslavia a Boksic nella Lazio. È il necrologio «Onore alla Tigre Argan» per Željko Ražnatovic, capo degli ultras della Stella Rossa diventato criminale serbo, esposto dai laziali all’Olimpico. «È un amico vero, lo rifarei». Il saluto a Slobodan Miloševic, il presidente morto in carcere dove era rinchiuso per crimini di guerra: «So dei crimini attribuiti­gli, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresent­a». E a tutti ripete: «Noi non avete visto cosa è successo a Vukovar. Il mio miglior amico, un croato, ha cercato di scannare tutta la mia famiglia».

 ??  ?? Discusso Nella sua carriera prima da giocatore e poi da allenatore, Sinisa Mihajlovic ha spesso preso posizioni nette, controcorr­ente, rispetto a temi delicati e ad avveniment­i, come il conflitto nei Balcani e i suoi protagonis­ti, molto sentiti dal tecnico serbo Come quando omaggiò lo striscione esposto dalla curva laziale per Željko Ražnatovic, capo degli ultras della Stella Rossa diventato criminale serbo
Discusso Nella sua carriera prima da giocatore e poi da allenatore, Sinisa Mihajlovic ha spesso preso posizioni nette, controcorr­ente, rispetto a temi delicati e ad avveniment­i, come il conflitto nei Balcani e i suoi protagonis­ti, molto sentiti dal tecnico serbo Come quando omaggiò lo striscione esposto dalla curva laziale per Željko Ražnatovic, capo degli ultras della Stella Rossa diventato criminale serbo

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