Corriere di Bologna

Orgoglio pilastrino

- Luciana Cavina luciana.cavina@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Mi separa dal Pilastro un cavalcavia sulla Tangenzial­e. Quel cavalcavia lo supero spesso, per andare in piscina, camminare nel parco, portare mio figlio al centro estivo che ama, o alla Fattoria urbana, al Dom. Lo attraverso per andare alla pizzeria «etica», alle poste, a fare la spesa. D’estate, tra il verde, ci sono pure le lucciole. Persone a me molto care, coetanee e anziane, ci abitano da anni e ne hanno vissuto la trasformaz­ione. Qualcuno ha sentito gli spari della Uno Bianca, ha avuto i campanelli (ah, i campanelli) bruciati da chi aveva instaurato lì il suo potere meschino e non voleva essere disturbato, non metteva il naso fuori dalla porta dopo il tramonto, ha subito furti di ogni genere. Ma quel qualcuno ha resistito, ha cercato soluzioni e insieme alle istituzion­i è stato protagonis­ta di un felice cambiament­o.

E ora ci vive bene, al Pilastro, porta i figli e i nipoti in una scuola dove i ragazzini parlano tante lingue e i professori di eccellenza quelle lingue le intreccian­o e le rendono comprensib­ili. Quel qualcuno passeggia di sera, va al centro culturale, in biblioteca, incontra le tante culture e non le teme. Anche se da qualche parte resistono echi di un passato triste e pericoloso e nidificano rischi di un presente disagio. Ma l’orgoglio pilastrino non molla.

Però un modo c’è per tornare al vecchio quartiere dormitorio, ai muri scrostati, al coprifuoco, alle guerre tra bande e alle siringhe piantate sugli alberi: basta seminare la diffidenza, fomentare la paura dei «penultimi» verso gli ultimi. Ripescare e diffondere il racconto di un quartiere cattivo. Fino a ricacciarl­o nell’isolamento e nel pregiudizi­o.

E basta poco: si comincia con un gesto scellerato, a disprezzo delle regole e del rispetto umano. Ma legittimat­o dal ruolo della persona che lo compie.

Basterebbe un politico con un seguito. Un senatore che, nel suo grande amore per le periferie davanti alle telecamere suonasse un campanello — nome e cognome — e facesse il bullo: «Lei spaccia?».

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