«Per tutti gli illusi»
Danza, questa sera al Duse «Io, Don Chisciotte» di Fabrizio Monteverde In scena il Balletto di Roma
Ci voleva il capolavoro del Siglo de oro, il Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, per separare Fabrizio Monteverde dalla sua Cuba, il Paese dove ha deciso di vivere dopo il ritiro dalle scene annunciato con Il lago dei cigni ovvero il canto del 2014. Che poi, l’isola caraibica per il coreografo e regista romano è linfa (anche) per nuove creazioni. Quando Francesca Magnini e Luciano Carratoni del Balletto di Roma gli hanno chiesto un titolo in occasione dei sessanta anni, lui, coreografo associato della storica compagnia, ha tirato fuori dal cassetto il Don Chisciotte. Come per Giulietta e Romeo, Otello, Cenerentola,
Monteverde, curandone regia e coreografia, ha fatto «sua» anche l’opera di de Cervantes. E non è un caso se il titolo esatto del lavoro sia Io, Don Chisciotte. Questa sera è di scena al teatro Duse di via Cartoleria (ore 21, info 051/231836). Lo si comprende dall’incipit recitato e una voce avverte che lo spettacolo è dedicato a tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento, ai pazzi per amore, ai visionari. Ma anche ai reietti, agli esclusi, ai folli veri, presunti, agli uomini di cuore. A chi non vuole distinguere tra realtà e finzione. E ai teatranti.
Monteverde, bisogna ringraziare il Don Chisciotte per il suo ritorno in Italia?
«Sono tornato giusto ieri da L’Avana. A volte la nostalgia del teatro mi prende: per quello non ci sono Caraibi che tengano. Per me Cuba è un luogo che mi aiuta a dimenticare. Un sogno, quasi. Un modo di tornare indietro, riappropriarsi delle cose perdute e tornare a vivere in modo basico, accontentandosi del mare, il sole, la gente».
Perché questa scelta?
«In realtà avevo tre opzioni, ma il Don Chiosciotte era quello che mi apparteneva di più. Nel senso che mi sento un po’ Don Chisciotte. Lo so
no ad esempio anche quando cerco una fuga da un’Italia che non riconosco più. Lui è un nobile mendicante che cerca di vivere in una realtà che non gli appartiene più e decide forse di impazzire. Una follia che deriva dal troppo leggere e questa cosa mi piace moltissimo. Tutti si fermano alla questione dei mulini a vento, e invece è un romanzo complicatissimo. E quando si dice che questo è uno dei romanzi più famosi al mondo ma nessuno lo legge, si dice il vero».
Perché quella dedica all’inizio dello spettacolo?
«Perché in fin dei conti vorrei dedicarlo a chi lotta. A chi ha un sogno, una meta che magari non raggiungerà, ma continua a crederci. Come Don Chisciotte, il sognatore».
Che spettacolo vedremo?
«Mi piace essere fuori moda. La danza è diventata qualcosa di talmente astratto, di quotidiano dove sembra che tutti possano ballare dimenticando la tecnica. Passerò per dinosauro, ma amo pensare la danza fatta di energia, tecnica, bellezza e, nel mio caso specifico, di racconto. Quindi anche questo lavoro è danza narrativa. Del resto, nasco a teatro».
Perché è importante rileggere i classici?
«Per darne una visione nuova. Una spolverata. Romeo e Giulietta l’ho fatto trent’ anni fa e lo rifarei con mille letture differenti. Attraversa i secoli».
Tornerà a Cuba?
«Credo di sì. Avrò bisogno di sedimentare. Di relax. E di fuggire da questa Italia che mi piace sempre meno. Se devo dire di chi ho fiducia, dico le sardine. Sono giovani e stanchi di volgarità e razzismi».