Tutti i leader schierati per la spallata al Pd (e lo sfratto al governo)
Berlusconi: «Sgarbi sarà il prossimo assessore alla Cultura»
All’improvviso è il RAVENNA 2015. E sul palco di piazza del Popolo a Ravenna ci sono insieme i tre leader del centrodestra: Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. L’ultima volta, in EmiliaRomagna, era stato 5 anni fa a Bologna «per mandare a casa Renzi». I rapporti di forza sono cambiati, la leadership è in mano, per ora, a Salvini. Ma l’obiettivo, in fondo, è lo stesso: Roma. Perché «liberare l’Emilia-Romagna» è un colpo di carambola che punta al governo. Lo dicono i tre azionisti di maggioranza del centrodestra. Lo dice la donna a cui hanno affidato il pallino per abbattere l’asse giallorosso, Lucia Borgonzoni: «Se c’è l’ha fatta l’Umbria ce la facciamo anche noi e dopo andiamo a prenderci il Paese!».
Dopo il comizio-show di Bibbiano, con il dolore di madri e padri esibito in piazza, a Ravenna sono tornate le bandiere. Anche troppe, visto che ne rimangono a terra parecchie per non rovinare la vista a chi è rimasto in fondo. In tempo per i tg della sera, i tre leader si concedono alle telecamere sotto il palco prima del silenzio elettorale. Il messaggio, con accenti diversi, è lo stesso. «Spero che tutti gli italiani — esordisce Salvini — possano avere come gli emiliani, i romagnoli e i calabresi, la fortuna di scegliere il futuro e non il passato». Berlusconi lo segue a ruota: «Chi è al governo, se il risultato sarà quello che attendiamo, non potrà che dare le dimissioni. Altrimenti l’Italia non sarebbe più una democrazia».
In sottofondo, tra Vasco Rossi e gli 883, risuona Un Giudice di De André. L’opa sull’immaginario della sinistra si gioca anche in musica. La leader di Fratelli d’Italia, vera avversario di Salvini nei cuori e nei cori della piazza, ribadisce il concetto. «Il centrodestra deve essere unito per dare la possibilità a una regione, che merita di più, di avere di più. Poi — dice la Meloni — se dovesse vincere chiederemo elezioni anticipate».
L’apertura sul palco spetta a Salvini. Dedica la piazza a Mario Cattaneo, assolto «grazie alla legge sulla legittima difesa». «Da lunedì, quando Lucia sarà in Regione — scommette — ci occuperemo di vita vera, in primis sicurezza e lotta alla droga». Torna a citare Bibbiano: «Speriamo che in Regione qualcuno chieda scusa». Racconta di mani strette a delegati Cgil ed ex segretari del Pd locale. «Tutti mi dicono: “Ormai voto lega perché il Pd è il partito dei banchieri e della casta”». L’applauso più grande, però, è alla promessa di «mandare a casa Conte, Renzi, Di Maio (che si è già mandato un po’ a casa da solo) e Zingaretti».
I cori che accolgono la Meloni confermano che forse è lei l’avversaria di cui Salvini si deve preoccupare. «Voi cittadini dell’Emilia-Romagna siete di fronte a un crocevia della storia, dal vostro voto dipendono moltissime cose», esordisce la leader di FdI. «L’unica cosa che il Pd si è concentrato a fare è tentare di insabbiare lo scandalo di Bibbiano».
Il Cavaliere, costretto al terzo posto in scaletta, viene accolto come un padre nobile. Promette che Vittorio Sgarbi «sarà un grandissimo assessore alla Cultura». Poi il suo appello: «Domenica è un voto per la libertà, forza Lucia, forza centrodestra e Forza Italia!». Gli applausi non riescono a coprire il rumore dei fischietti che arriva da poco lontano. Nella vicina piazza Kennedy sono migliaia anche le Sardine, cantano Bella Ciao, leggono Se questo è un uomo. Borgonzoni, intanto, chiude il comizio prima del rito dei selfie salviniani. «Mi insultano perché hanno paura, ma stavolta liberiamo la nostra terra». L’Emilia-Romagna, poi l’Italia.