Tempesta emotiva, «attenuanti da motivare»
Il ragionamento della Cassazione che ha annullato la sentenza sul femminicidio di Olga Matei
Una sentenza segnata da salti logici e passaggi contraddittori che dunque, per queste e altre ragioni, va annullata per poter celebrare un nuovo processo di appello. Così si è espressa la Cassazione nel provvedimento con il quale lo scorso 8 novembre ha accolto il ricorso del procuratore generale di Bologna e disposto un nuovo giudizio sul femminicidio di Olga Matei, strangolata il 5ottobre del 2016 a Riccione da Michele Castaldo, l’uomo con il quale aveva iniziato una relazione da poco più di un mese.
Castaldo dopo la condanna a trent’anni rimediata in primo grado si era visto dimezzata la pena a 16 anni nel giudizio di appello (in abbreviato) grazie alle attenuanti generiche ritenute prevalenti dai giudici. È la sentenza della cosiddetta tempesta emotiva che tanto fece discutere e che portò associazioni e operatori in prima linea contro la violenza sulle donne a protestare sotto la Corte d’Appello di piazza dei Tribunali fino a evocare il ritorno del delitto d’onore. La sentenza affronta il nodo centrale delle attenuanti, in particolare quella della gelosia che insieme ad altre circostanze, come il tentativo dell’imputato di risarcire i familiari della vittima, ha spinto i giudici bolognesi ad accordare quello sconto.
La gelosia, «come le altre situazioni psicologiche integranti “stati emotivi e passionali”, può essere presa in considerazione dal giudice ai fini della concessione delle circostanza attenuanti generiche», spiega la Cassazione, ma il giudice deve «fornire una razionale giustificazione della scelta compiuta». Ed è quello che secondo gli ermellini non hanno fatto i colleghi bolognesi visto che, a giudizio della Cassazione, hanno prospettato «solo come ipotesi» la riconducibilità dell’omicidio ad un «moto di gelosia», tra l’altro definendo lo stato passionale di gelosia di Castaldo «improvviso e passeggero», evidenziando la durata limitata della relazione esistente tra l’imputato e la vittima. Ed è qui che la sentenza secondo la Cassazione diventa «illogica», proprio nel punto in cui perviene «alla conclusione, intrinsecamente contraddittoria oltreché assertiva, che tale forma di gelosia, pur nutrita nei confronti di una compagna con cui non vi era neanche stata la semplice prospettazione di un progetto di vita comune, abbia comunque assunto in concreto le caratteristiche di “una soverchiante tempesta emotiva e passionale” idonea ad incidere sulla misura della responsabilità penale attenuandola».
Ci sono poi altri due punti della sentenza sottolineati dai supremi giudici, entrambi valorizzati dal collegio di secondo grado in termini di concessione delle attenuanti: la confessione dell’imputato e il tentativo di risarcimento. Per entrambi la Cassazione segue lo stesso ragionamento, e cioè il fatto che i giudici non abbiano motivato a sufficienza in che termini si siano verificate quelle circostanze. Scrivono infatti i giudici della Cassazione che la sentenza d’appello ha attribuito rilevanza alle dichiarazioni «senza tuttavia fornire una spiegazione congrua delle ragioni della loro rilevanza». Quanto, infine, al tentativo di risarcimento, la sentenza — si spiega ancora nel provvedimento - avrebbe dovuto esplicitare con quali modalità e in che misura l’imputato abbia provveduto e perché non vi sia riuscito, «altrimenti non è possibile comprendere il giudizio positivo».
Ora servirà un nuovo processo d’appello dopo l’annullamento con rinvio deciso a Roma. Un collegio in diversa composizione dovrà infatti rideterminare la pena finale alla luce del solco tracciato dalla Cassazione e dei rilievi sulla concessione delle attenuanti.