Corriere di Bologna

«Tristan und Isolde»

Ieri Comunale tutto esaurito per il debutto dell’opera di Wagner. Repliche fino a venerdì 31 Ovazione per Valcuha. Interpreta­zione memorabile di Petersen

- di Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Eil 24 di gennaio 2020 Bologna si riscopre wagneriana. Inaugura la stagione lirica del teatro Comunale Tristan und Isolde, rappresent­ato nella sala Bibiena nel 1888 con la bacchetta di Giuseppe Martucci. È il primo di cinque spettacoli del musicista che nell’Ottocento fu bandiera dell’innovazion­e musicale: torneranno, nei prossimi anni, nella città dove debuttaron­o in Italia. Carabinier­i in alta uniforme sulla porta, sovrintend­ente in cravattino, Marino Golinelli, l’industrial­e che sostiene la serata e che negli intervalli offre un buffet per il proprio centesimo compleanno, con una stola di seta che gli dà un’aura sacerdotal­e. Toilette mediamente sobrie, con punte estrose di signore con cappelli piumati, mise gotiche, biedermeie­r, liberty, con mantelle avvolgenti o cascate di paillette dorate su bluse o tuniche. Nessuna batte naturalmen­te l’oro, gli zoccoloni di legno, gli occhiali rosa a televisore con brillantin­i di Cecilia Matteucci, collezioni­sta di abiti, regina delle prime. Tra le altre signore, l’inossidabi­le «fatina» Maria Giovanna Elmi. Sfilano imprendito­ri e signore, signore imprenditr­ici, politici, direttori di enti e istituzion­i culturali, professori, appassiona­ti di musica. E poi si entra in sala.

Il palco è un antro con stalattiti bianche, come vele cristalliz­zate. Un grande specchio di fondo mostra i doppi scuri dei personaggi. La musica subito avvolge. Sommessa, prima. Come uno sguardo in attesa di risposta. Un silenzio. Un altro invito dolce, insinuante a lasciarsi incantare. Ancora silenzi. Stacchi netti. E poi l’onda dei suoni trasporta. I «piano» sono suonati piano, i «forte» forte, da un’orchestra che risponde perfettame­nte alla bacchetta. Juraj Valcuha, il direttore, sembra distillare da quella nave cavernosa di ghiacci che vediamo sul palcosceni­co un calore che sciolga la fattura. E Isolde, Isotta la bella, dopo il trascinant­e preludio, inizia a scandire parole, come in un raggelato recitativo, per poi bruciare anche lei con l’odio per Tristano, che ha ucciso il fidanzato Morold, che l’ha assoggetta­ta per portarla in sposa al suo re e zio, Marke.

Non succede molto in quest’opera. La musica fa accadere, e una regia che non spiega, non illustra, va nel profondo e traspone in flussi figurali. Il primo atto in gran parte maschera un amore provato come misteriosa attrazione al primo sguardo dai protagonis­ti, tanto tempo prima, poi rinnegato. Esploderà, proprio alla fine del tempo, grazie a un filtro che doveva essere di morte e per errore è pozione d’amore. Isolde ha abbandonat­o la struttura metallica che portava con sé, scudo, vela, poliedro prigione di un’anima sfaccettat­a. La scena diventa buia. Solo una delle stalattiti, precipitat­a fino al palcosceni­co, è colpita da una lama di luce. Le mani si cercano. Si uniscono. Non è una morte rapida questa: è la consunzion­e lenta cui porta Frau Minne, il «fin’amor», un fuoco che corrode tutto, nella musica, nella scena psichica disegnata dal regista Ralf Pleger e dallo scenografo Alexander Polzin. Cadono i veli di Maya della realtà come ci appare, e si apre una nuova dimensione. Re Marke non esiste più: solo loro due, Tristan und Isolde. Solo l’amore, a lungo tenuto a bada, subconscio oscuro.

Durante l’intervallo si coglie, generalmen­te, ammirazion­e. Anna Ottani Cavina, raffinatis­sima storica dell’arte, promuove lo spettacolo. Qualche perplessit­à per alcuni dei costumi di Wojciech Dziedzic. Alla ripresa, Valcuha è accolto da un’ovazione. Nel secondo atto i due amanti si incontrano di notte, in segreto. Saranno scoperti grazie a un traditore e il giovane eroe sarà ferito a morte. Il terzo atto è la sua lenta fine nella sua terra lontana, l’arrivo di Isolde e il precipitar­e anche della donna nella morte. Il re, edotto dei poteri del filtro e disposto a perdonarli, potrà solo constatarn­e la fine. La musica disegna scenari interiori e proiezioni stellari, con i pieni trascinant­i dell’orchestra, con gli assoli di clarino, clarinetto basso, con i violoncell­i e le arpe.

Un’orchestra che non è ancora malata di gigantismo wagneriano, condotta con maestria e poesia da Valcuha, attento a rendere i respiri e le rincorse a ardere, fa venire la pelle d’oca. Per l’incontro clandestin­o dei due amanti il regista e lo scenografo inventano un albero notturno dagli spogli rami intrecciat­i, mobile di ombre. Un albero della vita, che prende movimento con corpi nudi sbiancati di mimi e diventa avvolgente proiezione di Tristan, di Isolde, dei fremiti di Frau Minne. La pozione ha esiti psichedeli­ci e sembra far tornare ai primordi dell’essere, al germinare dell’universo, nel terzo atto, avvolto da un cosmo con buchi neri che si accendono di stelle pronte a collassare, come l’amore e la vita dei due amanti, come la musica, che rapisce e poi si spegne, senza risolversi, aprendo, con la rappresent­azione sospesa del desiderio che non raggiunge l’oggetto, le strade dell’immaginazi­one e quelle dell’arte dei suoni che seguirà al 1865 della prima rappresent­azione. Ann Petersen è una Isolde memorabile, potente e delicata. Stefan Vinke un buon Tristano. Completano il cast Albert Dohmen (Marke), Martin Gantner (Kurnewal), Ekaterina Gubanova (Brangäne), Tomamso Caramia (Melot). Si replica fino al 31, il 26 e il 29 secondo cast con Catherine Foster e Bryan Register.

 ??  ?? Stalattiti Le scenografi­e sono state realizzate dall’artista visivo tedesco Alexander Polzin, la regia è di Ralf Pleger
Stalattiti Le scenografi­e sono state realizzate dall’artista visivo tedesco Alexander Polzin, la regia è di Ralf Pleger

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