Tute blu e colletti bianchi: arte dal lavoro
Da oggi al 3 maggio «Uniform. Into the work/out of the work»: 600 scatti di 44 fotografi e nel Foyer 364 ritratti di Beshty Operai, minatori, dirigenti e politici immortalati nel mondo. Focus sugli operatori della cultura
Tute blu, colletti bianchi e camici verdi. Espressioni ormai consuete per indicare mondi distanti tra loro e ispirate a una dimensione lavorativa, che peraltro si ritrovano in tante lingue diverse. Le fotografie della nuova mostra «Uniform. Into The Work / Out of The Work», allestita fino al 3 maggio negli spazi della Fondazione Mast, disegnano un percorso che porta dall’abbigliamento da lavoro all’uniforme. Ricordando, segnala il curatore Urs Stahel, che l’italiano utilizza due parole diverse, divisa e uniforme. La prima mette in rilievo «una dimensione divisiva, la seconda l’aspetto unificante, rivelando allo stesso tempo esclusione e inclusione», ma sempre con una forte allusione simbolica.
Il nuovo progetto espositivo nello spazio della PhotoGallery - ma c’è anche una seconda parte nel Foyer, con una monografica dell’americano Walead Beshty sugli addetti ai lavori nel mondo dell’arte - raccoglie oltre 600 scatti di 44 grandi fotografi internazionali. Con inaugurazione, in via Speranza 42 e ingresso gratuito, alle ore 10 di questa mattina. Sulle pareti, le donne in divisa della Fiat di Torino fissate da Paola Agosti, i grembiuli di Irving Penn protagonisti dei «piccoli mestieri» del pescivendolo e dei macellai e gli abiti da lavoro dei collaboratori di una piccola fabbrica svizzera di Barbara Davatz. I colletti bianchi di Florian Van Roekel fanno invece da contrappunto alle tute nere dei minatori nelle foto del cinese Song Chao. L’abbigliamento da lavoro comprende anche indumenti protettivi, al centro delle immagini di Hitoshi Tsukiji, che si sofferma sui guanti di sicurezza utilizzati dalla Toshiba.
L’abito non rispecchia solo la diversa occupazione, né risponde soltanto a logiche funzionali, ma indica anche una distinzione di classe e di status come mostra il grande Ritratto di gruppo dei dirigenti di una multinazionale del duo Clegg & Guttmann. Proseguendo si incontrano il monaco e la suora fotografati da Roland Fischer e i 9 ritratti di Angela Merkel in diverse fasi della sua vita di Herlinde Koelbl, che ha raffigurato anno per anno alcuni dei maggiori leader politici del suo Paese a partire dal 1989. Sebastião Salgado ha invece immortalato il riposo di un operaio in Kuwait, durante le operazioni di spegnimento dei pozzi petroliferi dati alle fiamme dagli iracheni nel 1991 durante la Guerra del Golfo. Disseminati ovunque, su grandi monitor, otto addetti alla sicurezza in uniforme di servizio, protagonisti di altrettanti video di Marianne Mueller, «vigilano» in modo perturbante sui visitatori.
Nel Foyer la seconda parte del progetto, con i sette gruppi di «Ritratti industriali» di Beshty, comprendenti persone con cui l’artista è entrato in contatto per il suo lavoro, fotografate con una macchina di piccolo formato e pellicola analogica di 36 mm, per lo più in bianco e nero. «I 364 ritratti di Beshty - sottolinea ancora Stahel - evidenziano la riluttanza dei protagonisti per l’uniformità dell’abbigliamento professionale. Non bisogna apparire come l’altro, uniformati, omologati. Con il rischio però che questa definizione in negativo si riveli nuovamente, per tutti gli attori che operano in quell’ambiente, un atteggiamento uniformato e standardizzato».