Lucia e quell’obbedienza fuori moda a Matteo
Perché? Per capirlo, non occorre uno scienziato della politica. Basta collegare una lunga frequentazione della nostra gente a un tantino di psicologia. Qui si vuole decidere in proprio, senza prendere ordini da Roma. Nemmeno darli. Fanti e Zangheri sono stati campionissimi da Giro dell’Emilia, meno interessati a impegnarsi su percorsi fuori sede. Quando un sindaco fu calato dall’olimpo romano per comandare sotto le Due Torri non ebbe gran fortuna. Una donna che non rivendica chiaro e forte di volere decidere in proprio il suo destino non poteva convincere gli elettori che avrebbe scelto lei come guidare la Regione. Conclusione sbagliata? Chi vuole approfondire sul grado di autonomia può riflettere sul duetto leghista attorno al futuro in forse tra Bologna e Roma, tra Regione e Senato. Il leader, da uomo solo al comando, risponde con un sostanziale deciderò io. Lucia manda un’implicita adesione: deciderà lui. Questo tipo di obbedienza totale è ormai fuori moda. Piace ancora a qualche uomo, per niente alle donne. In generale non è lodevole un maschio alfa o soltanto beta che manovra in questo modo. Purtroppo alcune non reagiscono, altro che reclamare io sono mia. Perfino a Fred Buscaglione, in fin dei conti, piacevano le indomabili: «Poi si mette bene in guardia come Rocky il gran campione/ finta il destro e di sinistro poi mi incolla ad un lampione». Esagerato pretendere tanto ardire da Lucia? Comprensibile il gioco di squadra e l’autorità del capo, ma davanti ad un bivio esistenziale, non solo politico, uno scatto di orgoglio, tipo caro Matteo con tutto il bene che ti voglio della mia vita faccio ciò che voglio. Gli emiliani hanno paventato un rischio: sulla poltrona regionale, per interposta persona, avrebbe governato Salvini. Il dubbio ha fatto breccia sui tentennanti, ma anche dentro quelli per cui un conto è votare il partito, un altro il presidente. Altro che discredito subito dagli avversari perché donna, altro che vittimismo di genere. Per dare sostanza alle lamentele, per irrobustire il ruolo femminile, per accreditare indipendenza e quindi forza politica, più che invocare le pari opportunità serve mettersi alla pari. Matteo della Lega è il segretario, però Lucia non è la sua segretaria. Quindi non decidi tu, se permetti sulla vita mia decido io. Di restare con chi mi ha votato, con chi mi vuole per contrastare un potere di lungo corso, con chi ha creduto alle mie promesse. Sto qui dove mi tiene il cuore, non dove potrebbe portarmi la convenienza strategica salviniana. Anche per insegnargli con molto garbo ma altrettanta fermezza che il super macho da queste parti non funziona. La scelta di mettere in campo una donna è buona quando porta valore aggiunto. Se propone modi migliori di vedere il mondo. Se evita errori che stanno dentro un esagerato maschilismo. Se spiega che suonare a un citofono è una smargiassata con effetto boomerang. Soprattutto se lo convince che mostrarsi grande reiterando un testardo «rifarei la scampanellata» significa in realtà mostrarsi piccolo. A questo doveva servire una forte e vitale candidatura femminile. Gli uomini bravissimi a sbagliare da soli non mancano.