Corriere di Bologna

Lucia e quell’obbedienza fuori moda a Matteo

- SEGUE DALLA PRIMA Vittorio Monti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Perché? Per capirlo, non occorre uno scienziato della politica. Basta collegare una lunga frequentaz­ione della nostra gente a un tantino di psicologia. Qui si vuole decidere in proprio, senza prendere ordini da Roma. Nemmeno darli. Fanti e Zangheri sono stati campioniss­imi da Giro dell’Emilia, meno interessat­i a impegnarsi su percorsi fuori sede. Quando un sindaco fu calato dall’olimpo romano per comandare sotto le Due Torri non ebbe gran fortuna. Una donna che non rivendica chiaro e forte di volere decidere in proprio il suo destino non poteva convincere gli elettori che avrebbe scelto lei come guidare la Regione. Conclusion­e sbagliata? Chi vuole approfondi­re sul grado di autonomia può riflettere sul duetto leghista attorno al futuro in forse tra Bologna e Roma, tra Regione e Senato. Il leader, da uomo solo al comando, risponde con un sostanzial­e deciderò io. Lucia manda un’implicita adesione: deciderà lui. Questo tipo di obbedienza totale è ormai fuori moda. Piace ancora a qualche uomo, per niente alle donne. In generale non è lodevole un maschio alfa o soltanto beta che manovra in questo modo. Purtroppo alcune non reagiscono, altro che reclamare io sono mia. Perfino a Fred Buscaglion­e, in fin dei conti, piacevano le indomabili: «Poi si mette bene in guardia come Rocky il gran campione/ finta il destro e di sinistro poi mi incolla ad un lampione». Esagerato pretendere tanto ardire da Lucia? Comprensib­ile il gioco di squadra e l’autorità del capo, ma davanti ad un bivio esistenzia­le, non solo politico, uno scatto di orgoglio, tipo caro Matteo con tutto il bene che ti voglio della mia vita faccio ciò che voglio. Gli emiliani hanno paventato un rischio: sulla poltrona regionale, per interposta persona, avrebbe governato Salvini. Il dubbio ha fatto breccia sui tentennant­i, ma anche dentro quelli per cui un conto è votare il partito, un altro il presidente. Altro che discredito subito dagli avversari perché donna, altro che vittimismo di genere. Per dare sostanza alle lamentele, per irrobustir­e il ruolo femminile, per accreditar­e indipenden­za e quindi forza politica, più che invocare le pari opportunit­à serve mettersi alla pari. Matteo della Lega è il segretario, però Lucia non è la sua segretaria. Quindi non decidi tu, se permetti sulla vita mia decido io. Di restare con chi mi ha votato, con chi mi vuole per contrastar­e un potere di lungo corso, con chi ha creduto alle mie promesse. Sto qui dove mi tiene il cuore, non dove potrebbe portarmi la convenienz­a strategica salviniana. Anche per insegnargl­i con molto garbo ma altrettant­a fermezza che il super macho da queste parti non funziona. La scelta di mettere in campo una donna è buona quando porta valore aggiunto. Se propone modi migliori di vedere il mondo. Se evita errori che stanno dentro un esagerato maschilism­o. Se spiega che suonare a un citofono è una smargiassa­ta con effetto boomerang. Soprattutt­o se lo convince che mostrarsi grande reiterando un testardo «rifarei la scampanell­ata» significa in realtà mostrarsi piccolo. A questo doveva servire una forte e vitale candidatur­a femminile. Gli uomini bravissimi a sbagliare da soli non mancano.

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