L’Atto zero di Anastasio «La vita è un’opera d’arte»
Il rapper campano nei club per promuovere il suo primo album. Due i live in Emilia al momento confermati: il 17 marzo all’Estragon e il 21 al Vox Club di Nonantola
Anastasio, vincitore dell’edizione 2018 di «X Factor» e tredicesimo all’ultimo Festival di Sanremo con Rosso di rabbia, sarà in tour per presentare il suo primo album «Atto zero». Tredici date che (al netto delle misure anti-coronavirus) prevedono due live in regione: il 17 marzo all’Estragon di Bologna e il 21 marzo al Vox Club di Nonantola. Abbiamo incontrato il rapper campano durante una giornata promozionale nel capoluogo emiliano.
Cos’è stato X Factor?
«Una bella palestra. Ho imparato a gestire la mia voce e tenere il palco».
Quanto c’è di vero e quanto di artefatto?
«Quello che si vede nei live è assolutamente vero, come sono vere le votazioni e i commenti dei giudici».
Salire sul palco di Sanremo è stressante come dicono?
«La tensione si sente ma dipende anche dall’artista. Io so contenermi bene, quindi basta salire concentrati, fare la tua canzone e non pensare a nient’altro».
La copertina di «Atto zero» ricorda una pietra miliare della discografia dei Pantera. Una scelta consapevole?
«Da premesse diverse siamo arrivati alla stessa conclusione. Il cazzotto per i Pantera significava l’abuso di potere, per me, invece, rappresenta l’istante dell’impatto, l’attimo di massima tensione. Il momento artistico».
Qual è il brano più importante dell’album?
«Non saprei. Forse il brano che chiude il disco, Quando tutto questo finirà, però anche la canzone di apertura spiega un altro aspetto importante dell’album. Direi che i momenti clou sono Atto zero, Il sabotatore e Quando tutto finirà».
Nel disco c’è un pezzo intitolato Straniero, chi è?
«È colui che non si trova a casa nemmeno a casa sua».
Lei si sente a casa?
«Sì, con determinate persone a prescindere dal luogo in
cui mi trovo. Anche i paesaggi sono importanti. Milano, dove vivo ora, non regge il confronto con i paesaggi della mia terra».
A proposito di origini, quanto c’è della sua terra nelle canzoni?
«Dipende dal brano, Cronache di gioventù metese è un pezzo che parla esclusivamente della mia terra. Sono nato in una terra di passaggio, vissuta come luogo di villeggiatura, descritta da tanti poeti, nessuno autoctono».
In un brano cita la strada, cos’è per lei?
«Il luogo di incontro con i miei amici. Da ragazzino sono sempre stato per strada, però la mia strada non è stata la vita di strada: ero lì per scelta non per obbligo, era frutto di uno spirito che ci portava a combinare guai».
In un testo sostiene che c’è più arte in un sacchetto dell’umido.
«È una riflessione su un certo tipo di arte e sul suo feticismo. Un’opera d’arte dietro una teca è ferma e imbalsamata, mentre il sacchetto dell’umido è vivo e in evoluzione. La vita è decisamente più artistica. Ovviamente, questa è anche una provocazione».
Questa sua giornata di promozione bolognese coincide con il compleanno di Lucio Dalla. Per lei chi è Dalla?
«Una persona affascinante. Un uomo di grandissima cultura, legato a Napoli e Sorrento. Molti amici che lo conoscevano me lo descrivono come una bella persona di grande umiltà. A Natale veniva sempre a pregare a Napoli nella basilica del Carmine Maggiore».