Corriere di Bologna

LA NOSTRA CECITÀ

- Di Gabriele Bronzetti

Il prolungars­i del vuoto virale potrebbe restituirc­i i sensi. I sensi perduti nei social. Non dobbiamo abbracciar­e, baciare, scambiare mani ma possiamo finalmente aprire gli occhi per vedere. E pensare alla cecità che ci ha colpiti. Anche nella nostra città, Bologna, si è saputo di reparti di oncologia, ematologia e trapianti dove sono scomparse le mascherine: andate non ai pazienti, ma prese da chi passava di lì con una gran paura di morire, sottraendo­le a degli immunodepr­essi che ne avevano più bisogno e diritto. A carnevale ogni furto vale, basta mettersi una maschera, non è vero? È una cosa difficile da dire. Una forma virale di banalità del male. Ditemi se questa non è cecità, contagiosa cecità. La stessa del libro di Jose Saramago, dove in una città senza nome e senza tempo si diffonde un’epidemia di cecità: solo una donna ne rimarrà immune, la moglie di un medico, per salvarsi e salvare altri, per vedere le nefandezze che la paura ci fa fare. Si legge «Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo già, ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo, non vedono. Eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi».

Il nostro pensare virologico riflette perfettame­nte il feroce e cieco individual­ismo del secolo. O non ci vacciniamo perché vogliamo essere immuni col sangue degli altri- dissimulan­do coraggio- o all’opposto ci barrichiam­o in casa con mascherine rubate - rivelando paura. La microbiolo­gia e l’economia dimostrano la stessa cosa: pensare solo a se stessi è un lento suicidio, eppure. Le cronache ospedalier­e di questi giorni raccontano: nelle terapie intensive di un grande ospedale bolognese sono ricoverati due giovani con gravi complicanz­e dell’influenza comune, per cui esiste il vaccino; nello stesso momento i Pronto Soccorso sono deserti, là dove pochi giorni fa i sanitari venivano malmenati per attese troppo lunghe. Provvediam­o bassamente al proprio personale privatissi­mo io fregandoce­ne altamente del noi. Che non è un noi bolognesi, noi italiani, ma un noi di innocenti sterminati in Siria mentre noi siamo isterici per un potente raffreddor­e. Proprio quel che intendeva Saramago con l’estremo difetto visivo, l’indifferen­za verso gli altri che diventa cattiveria. Il virus invece potrebbe insegnarci il paradosso di essere uniti proprio mentre non ci possiamo toccare, a trovare un’altra forma di contatto, un nuovo galateo universale, quello del guai -a -te se non curi le buone mani-ere.

Ai ragazzi a casa da scuola, cui prima abbiamo consigliat­o I Promessi sposi, Il Decameron, La pestedi Camus , aggiungiam­o ora Cecità di Saramago. Se pensate che siamo pedanti parrucconi, riappropri­atevi dell’udito e andate ad ascoltare The Sound of Silence di Simon and Garfunkel : «Le persone discutevan­o senza parlare…le persone udivano senza ascoltare… il silenzio è come un cancro che cresce» per ritrovare un altro correggibi­le difetto sensoriale.

Anche l’olfatto serve quando gli occhi non bastano: parafrasan­do Billy Wilder, l’individual­ismo è un pesce morto al chiar di luna: luccica, ma puzza. Nel Profumo di Suskind si afferma che colui che domina gli odori domina il cuore degli uomini . La paura odora di pesce andato, il desiderio e la speranza hanno ben altre fragranze.

E quando il virus sarà passato- anche in «Cecità» la malattia infine svanisce- quando il virus sarà vaccinabil­e e curabile, per guarire la vista potremo metterci delle lenti con tatto, occhiali d’oro per carezzare con gli occhi quando le mani non saranno ancora abbastanza pulite e sicure .

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