La rivolta della Dozza, a fuoco auto della polizia e ventidue feriti
È durata quasi un giorno e mezzo la rivolta all’interno del carcere della Dozza, scoppiata dopo i fatti di Modena il cui tragico bilancio è di nove morti. Due pomeriggi fa, a Bologna, la situazione sembrava essersi calmata, ma nella notte sono stati appiccati fuochi e sono stati distrutti tanti ambienti, fra i quali quelli dedicati alle attività ricreative. Poi, un gruppo di detenuti si è asserragliato sul tetto fino alla tarda mattinata. La Procura indaga su una quindicina di «fomentatori».
Secondo il procuratore capo Amato a fomentare i reclusi è stato un gruppo di una quindicina di «duri», su cui ora indaga il suo ufficio
«Libertà» grida dal tetto del reparto giudiziario del carcere della Dozza un detenuto, quando sono ormai passate 24 ore dall’inizio della rivolta che ha tenuto in scacco l’istituto penitenziario per un giorno e una notte.
L’aria resa acre dai roghi appiccati, la scritta «Indulto» su uno striscione ricavato da un lenzuolo. Con gli animi ormai esasperati e le forze allo stremo, ieri mattina i primi a cedere e a chiedere una resa sono stati una ventina di reclusi, saliti sul tetto decisi ad abbandonare le proteste. Qualcuno ha tentato addirittura di calarsi con un lenzuolo, qualcun altro chiedeva una scala per scendere dal tetto, visto che le scale interne erano bloccate e gli irriducibili dentro impedivano la resa degli altri. Ma la mediazione è stata lunga, portata avanti in prima persona dalla direttrice Claudia Clementi e dalla presidente del Tribunale di sorveglianza Antonietta Fiorillo, alla quale i detenuti hanno fatto delle richieste relative alla concessione di misure alternative e maggiori servizi educativi. Intorno alle 15, dopo quasi trenta ore, tutti i reclusi si sono arresi e la Penitenziaria ha ripreso possesso del carcere.
Un reparto di tre piani devastato, comprese le sezioni dedicate alle attività scolastiche ed educative. Ci vorrà tempo per fare la conta dei danni, con molti spazi ormai inagibili e i trasferimenti complicati visto che tutte le altre carceri del Paese scoppiano e hanno già dovuto farsi carico dei 500 detenuti trasferiti dal carcere Sant’Anna di Modena. Lì ieri il conto dei decessi è salito a 9, dopo il ritrovamento di altri due detenuti morti in uno dei padiglioni ormai sgomberati.
Dalla violenta rivolta di domenica a Modena è partita la scintilla che ha appiccato i disordini di Bologna. La paura per i contagi da coronavirus e l’impossibilità di arginarli in strutture stipate come la Dozza (890 reclusi a fronte di 500 posti) aveva già esasperato gli animi, a ciò si sono aggiunte le restrizioni dovute all’emergenza: stop alle visite dei familiari, possibilità di sospendere permessi premio e semilibertà, stop alle attività educative. Ai detenuti sono stati però concessi i colloqui via Skype. Per tutta la giornata di lunedì si sono succeduti roghi e devastazioni. Qualcuno dentro aveva telefonini con cui molti detenuti si sono fatti riprendere mentre distruggono qualsiasi cosa armati di mazze e bastoni e aizzati da rabbia e disperazione.
«Il fatto che in carcere entri di tutto è un problema che segnaliamo da tempo», commenta un agente sindacalista del Sinappe. La Procura aprirà un’inchiesta, i video sono stati già acquisiti dalla Digos. Anche se non tutti i circa 400 ospitati nell’edificio da dove è partito il focolaio hanno partecipato alle proteste, proseguite poi per tutta la notte con tre macchine di polizia e carabinieri date alle fiamme, lanci di qualsiasi cosa dal tetto, brande, pezzi di metallo, persino le porte in ferro dell’ambulatorio. Alla fine i feriti sono stati 22, di cui 20 detenuti e 2 agenti della Penitenziaria. Tutti hanno riportato solo lievi intossicazioni e contusioni. Ieri i garanti dei detenuti della regione hanno lanciato un accorato appello «a mettere fine ai disordini, prima che le conseguenze si aggravino». Ieri sera molti detenuti sono stati trasferiti: il padiglione che avevano occupato è inagibile. Secondo la Procura la rivolta è stata innescata da una quindicina di detenuti. Il procuratore Giuseppe Amato attende le informative per capire che reati ipotizzare. «Al momento — osserva — non c’è alcun elemento oggettivo che faccia pensare a una regia tra le varie proteste scoppiate in Italia.