Blocchi anche a Parma e nel Reggiano: il rebus dei protocolli di sicurezza anti-contagio
«C’è forte pressione e tensione — sottolinea il segretario regionale della Fiom, Samuele Lodi — perché ci sono aziende dove le condizioni minime di sicurezza sono difficilmente applicabili». «Non sono giorni facili», gli fa eco Roberta Castronuovo, segretaria dell’area metropolitana bolognese per la Fim-Cisl. «Bene il decreto del premier Conte — aggiunge — che ha responsabilizzato le aziende, ma la tensione e la preoccupazione sono palpabili. La nostra posizione è chiara: dove si applicano le normative, si garantisce la sicurezza ed è possibile lavorare, la produzione va avanti. Ma dove quelle condizioni non ci sono ci si deve fermare e provvedere alla riorganizzazione e alla messa in sicurezza», come richiesto a livello nazionale da Fim, Fiom e Uilm.
Le proteste, dopo la firma dell’ultimo decreto e in attesa di nuove linee su aiuti e ammortizzatori da adottare per affrontare la riduzione della produzione, nascono dal timore dei lavoratori per le condizioni di sicurezza negli stabilimenti. Che, come ci tiene a dire anche Confindustria, non sono tutti uguali. Il presidente degli industriali dell’Emilia-Romagna, Pietro Ferrari, parla di «responsabilità morale delle imprese», ma va anche giù duro sui sindacati per l’acuirsi della tensione: «Il sindacato sta sopravanzando: abbiamo bisogno di tenere in equilibrio il sistema». «È necessario rimanere con i nervi ben saldi — insiste Ferrari — perché non si può assolutamente chiudere tutto. Non tutte le aziende possono fermarsi, ogni caso è a sé e va analizzato nella sua specificità».
Per il presidente degli industriali emiliano-romagnoli alcune reazioni sono state «spropositate rispetto a un decreto che offre una precisa cornice in cui muoverci. Questa crisi, la più grande dopo la fine della seconda guerra mondiale, va gestita con rigore. Non voler chiudere non ha solo una ragione economica». E poi la spiegazione a suon di metafore. La prima: «Le imprese sono la brace che serve per tenere acceso il fuoco nel camino, se quel fuoco si spegne rimaniamo tutti al freddo per anni». La seconda: «Il sistema economico vive di filiere, non è come chiudere un bar. Chi produce yogurt, alimento e quindi essenziale — è la provocazione — deve avere operative le industrie che producono i vasetti. Non si può semplificare, non è una fiction: la tenuta dell’economia è un’operazione molto complessa per cui dobbiamo trovare tutti insieme le migliori soluzioni». Infine la terza: «Stavamo già rallentando, ma era un mal di denti. Se non si tiene botta rischiamo un’amputazione». Ieri è arrivato un vademecum di consigli per le imprese dall’assessore regionale allo Sviluppo economico, Vincenzo Colla: «Le misure per ridurre il contagio in un luogo di lavoro non sono dissimili da quelle adottate per la popolazione generale». Ma stamattina saranno governo, sindacati e imprese a discutere in videoconferenza dei protocolli.