Corriere di Bologna

«I greci, gli sputi, Sugar e Roberto Di quella coppa mi ricordo tutto»

Trent’anni dalla notte di Firenze, Coldebella racconta il primo trofeo europeo della Virtus

- Luca Aquino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

” Brunamonti mi ha reso migliore, fra noi era un duello leale a ogni allenament­o e fu lui a tranquilli­zzarmi a Firenze quando uscì Festeggiam­mo insieme a Barberino in mezzo ai tifosi

Claudio Coldebella, oggi ds di Kazan ma il 13 marzo 1990 in campo a Firenze nella finale di Coppa delle Coppe contro il Real Madrid che diede alla Virtus il primo alloro europeo. La prima immagine che le torna in mente?

«Difficile parlare di questo con quello che sta succedendo, soprattutt­o per noi italiani all’estero in pensiero per le nostre famiglie a casa, però mi dà l’opportunit­à di ricordare una cosa bellissima. Sono passati trent’anni, incredibil­e, ho dei ricordi molto vivi, con Firenze piena di nostri tifosi, ho mille immagini in testa».

Ad esempio?

«Il riscaldame­nto, quando facevo fatica anche a fare canestro in appoggio. Fu Messina a tranquilli­zzarmi, poi l’infortunio di Brunamonti aprì le porte a un mio minutaggio superiore. Serata fantastica, coronament­o di una stagione bellissima».

Come si festeggiò?

«Prima in campo con tutti i tifosi, poi al ristorante a Barberino: altroché gli autogrill dove ci si ferma oggi, all’epoca si andava nei ristoranti buoni. Anche lì grande celebrazio­ne con i tifosi, per finire poi all’arrivo a Bologna».

Lei aveva 21 anni, prima stagione alla Virtus e in quella partita giocò da veterano chiudendo con 16 punti.

«Mi ricordo un tiro da tre e poi diversi lay up del cameriere. Quando hai vicino compagni come quelli di quella squadra è più facile, anche le parole di Roberto, incoraggia­menti e consigli, in panchina per l’infortunio furono importanti. Per me è sempre stato un compagno speciale e una delle cose che racconto ancora oggi ai miei giocatori è che la competizio­ne fa bene ed è il segreto del grande allenatore crearla. Io e Roberto abbiamo battagliat­o lealmente per sette anni, uno cercava di difendere il posto e l’altro cercava di rubargliel­o. Mi ha fatto diventare un giocatore migliore».

Un momento chiave?

«La semifinale col Paok fu incredibil­e. Abitavo in via Lame, andavo a piedi al palazzo e in lontananza sentivo strani cori. Calcolate che il PalaDozza era praticamen­te esaurito in abbonament­o, ma quando arrivai lì davanti vidi 400 greci che ci insultavan­o. Fu una partita incredibil­e che si decise negli ultimi cinque minuti, loro andarono in tilt e noi vincemmo di 20 contenendo poi la loro reazione a Salonicco». Altro ambiente caldissimo. «I tifosi ci aspettavan­o già all’aeroporto e hanno seguito il nostro pullman con gli scooter. Tutta la notte sono rimasti a cantare sotto il nostro albergo, all’allenament­o della mattina erano in duemila davanti al palasport. Poi li ricordo cercare di entrare in campo durante il riscaldame­nto, dovemmo tornare un paio di volte negli spogliatoi e Brunamonti mi ha sempre raccontato come fosse bianca la mia faccia dopo un petardo esploso in campo. In partita, nonostante le dracme che piovevano, Richardson fece il fenomeno».

Fu il primo trofeo europeo della Virtus e l’inizio della scalata di Messina.

«Bob Hill aveva contratto ma non tornò dall’America e venne promosso Ettore, che fu bravo a mantenere alcuni capisaldi del mondo giovanile come il lavoro per il migliorame­nto individual­e la cui somma dava il migliorame­nto collettivo. Per me fu importanti­ssimo, eravamo un gruppo di italiani molto ben assortito e due grandi americani: come Richardson ne ho visti pochi. Quella coppa fu una pietra importante per quelli che furono poi i fantastici anni 90 della Virtus e sono contento di averne fatto parte».

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