Corriere di Bologna

LA NOSTRA SPOON RIVER

- Di Olivio Romanini

«Mentre la baciavo con l’anima sulle labbra, l’anima all’improvviso mi fuggì». C’erano scritte cose belle come questa negli epitaffi raccontati in prima persona dagli abitanti dell’immaginari­a cittadina di Spoon River che erano passati a miglior vita. Il poeta americano Edgar Lee Masters, lo scrittore che aveva dato voce ai morti, era riuscito a ricostruir­e le storie minime degli abitanti del piccolo villaggio immaginari­o e li aveva riportati in vita, tenuti in vita per sempre su quella collina della pace. Anche noi con pazienza e tenacia dovremo ricostruir­e la nostra Spoon River perché questo può essere un modo per cercare un senso dentro la folle tragedia di questi giorni.

Per alcune settimane ci siamo detti che quelli che erano morti a causa del virus «erano anziani, molto anziani, con una patologia pregressa, a volte pure con più patologie pregresse». Era un modo per esorcizzar­e il male, per separarlo da noi, per dirci che nelle nostre vite normali sarebbe andato tutto bene. Poi abbiamo ricevuto la prima telefonata: era capitato ad un lontano conoscente, uno che non vedevamo da un po’ e un velo di malinconia era scivolato dentro di noi.

Epoi sempre peggio, un amico di un amico, un parente. Fino a che ci siamo accorti che quell’anziano poteva essere nostro padre e nostra madre. Poi abbiamo visto le bare tutte in fila, i blindati dell’esercito che portano via i morti e allora abbiamo compreso, tutti. E abbiamo capito che questo virus subdolo aggiunge dolore al dolore perché si muore da soli, da dimenticat­i, senza poter avere un funerale, senza che i famigliari possano darti un ultimo abbraccio: una specie di doppia morte.

Dobbiamo provare tutti a trovare le parole per ricordare. Perché come viene magistralm­ente raccontato nel film Coco della Disney Pixar il ricordo è vita: fin che qualcuno nel mondo dei vivi ricorda un defunto questo continua a vivere nel mondo dell’aldilà: si sparisce solo quando si è dimenticat­i da tutti. «Ripensa a me, non dimenticar­lo mai, ricordami dovunque tu sarai» si canta nella canzone che fa da colonna sonora al film. Anche la nostra città, all’inizio meno colpita dall’epidemia, ora si risveglia con decine e decine di vittime che ogni giorno si fatica a raccontare. Per questo, con la delicatezz­a del caso, nei prossimi giorni proveremo a ricostruir­e qualche storia delle persone che ci hanno lasciato, indipenden­temente dal fatto che fossero conosciute o meno, raccontare il seme che hanno lasciato in questa terra. Anche Bologna ha bisogno di una collina di pace dove ricostruir­e le storie di chi non c’è più. Nella speranza che, un giorno, da qualche parte, si possa ripartire.

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