VENTILARE LA MEMORIA
Questa cosa indescrivibile che ci ha investito dimostra ancora una volta che gli scienziati non potranno mai fare a meno dei poeti. Chi legge i giornali se n’è accorto: man mano che questa specie di guerra rivelava il suo volto ferino, al fianco di cronache spietate e numeri con rigorose analisi degli esperti si potevano leggere articoli letterari. Proprio così. Mancavano il fiato e le parole ma tirava un’aria letteraria. Qualcuno si sarà chiesto, ma come, il sole muore e qui si parla di Manzoni, Saramago e Lee Masters?
Addirittura alcune testate locali, di solito deputate (o condannate?) alla prosaica narrazione domestica, han dato ali a editoriali e commentari di stampo umanistico. Non di rado i poeti precedono gli scienziati così che ai secondi non resta che dimostrare empiricamente quello che i primi intuiscono. Le metafore arrivano prima delle metanalisi perché idee e parole sono un prodotto biologico; sono il profumo della pietanza che gli ipersensibili annusano prima che gli scienziati - a testa bassa e raffreddati per le troppe notti all’addiaccio sui libri- ci sbattano il naso dentro.
Ad esempio, versi millenari parlano di cuore di pietra, cuore spezzato, crepacuore, buco nel cuore ma solo adesso la medicina dimostra che il cuore si indurisce, si spezza, si stringe e si buca per davvero. Il coronavirus ci ha offerto altre prove di preveggenza o di sintonia tra poesia e scienza. Sentite queste. Pochi giorni fa, sulla scorta di notizie di coppie di coniugi ricoverate con sintomi Covid 19 e con i posti letto e i respiratori che scarseggiavano in terapia intensiva, tra sognatori fantasticavamo di respiratori matrimoniali che consentissero di non dividerle. Oppure, più tragicamente, intonavamo il cordoglio di amanti che pur di non separarsi rinunciavano alla cura. Ed ecco che in men che non si dica il dottor Ranieri di Bologna insieme al dottor Pesenti di Milano mette a punto un circuito per ventilare (anemos, il vento dell’anima) due malati con un solo respiratore. Una macchina che salva due vite al posto-costo di una, perché una vita non ventilata in simili circostanze è una vita perduta. Ancora, molti giorni fa di fronte alla penuria di mascherine i poeti invocavano il riciclo di biancheria intima in reggi-sani, mascherine d’emergenza per non disperdere le ormai famose e pestilenziali droplet; sostenevano i poeti che le industrie di lingerie si sarebbero dovute riconvertire a questo scopo. Detto fatto, in pochi giorni queste fole da pazzi sono state assecondate prima da sarte artigianali e poi da grandi marchi della moda. Questa specie di guerra ha dimostrato che tra scienza e poesia, tra rigore e fantasia manca qualcosa. Tra il cervello e il cuore ci vuole un tessuto connettivo circolante svelto come il lampo, nutritizio come il sangue e difensivo come il sistema immunitario. Si chiama informazione e comunicazione. Sebbene ormai ognuno abbia un telefonino e creda con questo di essere testimone, reporter e storico e di poter conoscere, spiare e denunciare istantaneamente, nonostante ciò non si è stati in grado di evitare ritardi, indolenze e sottovalutazioni costate molte vittime.
Ancora una volta emerge l’inutilità dei dilettanti e l’urgenza di professionisti della comunicazione, proprio adesso che tutti credono di essere dei comunicatori. Siamo otto miliardi di persone, otto miliardi di alveoli bisognosi d’ossigeno, d’aria ben ventilata e non di fumosi e manipolabili pensieri. Servono persone che raccontino il proprio tempo come soldati d’assalto e poi ne serbino la memoria.
Servono come i ventilatori e le terapie intensive e i vaccini e i medici e la ricerca ed è la stessa storia. Perché la storia non si ripeta e viva la memoria degli addii non dati, di funerali non celebrati, di poveri corpi di notte su camion da desaparecidos, corpi che adesso sono nel vento, e abbiano un nome e una storia, viva. Non si tratta di imparare poesie a memoria ma di onorare la memoria con poesia. Scripta manent. L’editoriale