GLI ALTRI FATTORI
Ogni giorno siamo richiamati alla tragica realtà dalla lettura o dall’ascolto dell’aggiornamento delle persone contagiate e messe in quarantena, di quelle ricoverate in ospedale e assistite in terapia intensiva. La tragedia delle malattie infettive si tramuta in terrore, in particolare quando veniamo informati del numero crescente delle persone che non ce l’hanno fatta e sono morte. Il vero problema non è tanto quello di restare chiusi in casa per un periodo che si allunga sempre di più.
Quanto quello di reggere il peso umano di chi ci lascia senza il conforto di un familiare o è seppellito senza una presenza amica. È un bollettino che ci atterrisce, non facile d’accettare conservando un minimo di speranza. La Lombardia ha purtroppo il triste primato anche della crisi delle sepolture e della capienza dei cimiteri. In Emilia e nella città metropolitana di Bologna la catastrofe è solo in parte minore. Si può dire che il coronavirus è un male che accomuna le regioni del Nord alle altre regioni del Centro-Sud, anche se per ora sono meno colpite. Come è potuto succedere che siamo passati dalla civiltà delle forze migliori che parlavano di bene comune, alla oppressione invece del veleno comune? Che cosa è accaduto? Per rispondere a questi angoscianti interrogativi occorre aprire da subito una riflessione e una discussione, nonostante l’emergenza e la straordinarietà di queste settimane. Riflettere ci serve, se non altro a meglio elaborare il disagio esistenziale e trovare le ragioni di un possibile ottimismo nel domani. Gli epidemiologici e i virologi ci dicono che la causa della epidemia non va semplicemente identificata nella virulenza di una nanoparticella o nell’assenza di prevenzione sanitaria. Esistono altri fattori, quelli collaterali, che possono aiutarci a capire perché l’infezione si espande e si accanisce sulle persone fragili. Gli esperti di clima e di ambiente parlano degli ecosistemi salubri e imputano ai nostri stili di vita la responsabilità di trasmettere il contagio. Ritornando a Bologna si possono aggiungere i fattori socio-economici e demografici. Questi ultimi hanno una rilevanza non secondaria nell’incremento delle malattie infettive e polmonari, tenendo conto che Bologna è parte dell’inquinatissima Padania con una popolazione di meno di 400 mila abitanti di cui il 51% è ultra 75enne. La nocività aggiuntiva non si può dire che è dovuta alla mobilità di quel 20% circa di domiciliati (immigrati, studenti e lavoratori). Ma dalla maggiore presenza di particelle nocive nell’aria e di persone disabili e fragili. E da una non piccola popolazione di poveri e di senza fissa dimora. La causa del contagio, dunque, va ricercata in questa molteplicità di fattori non governati.