Corriere di Bologna

LO «ZIO» AURELIO IL SORRISO DI MEDICINA

- Di Daniela Corneo daniela.corneo@rcs.it © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non lo si può spiegare il rumore che fa il dolore di un paese che perde uno dei suoi pezzi forti. Per ché al di là del silenzio nelle strade vuote, nelle piazze deserte, nei bar chiusi, c’è il «vociare», sempre più forte e corale, di tutti quelli che si sentono orfani della stessa persona. La sofferenza di centinaia di uomini e donne che si fa una sola, enorme. La morte di Aurelio Prata ha avuto su Medicina l’effetto di una bomba che esplode e fa crollare muri e certezze.

Aurelio, 53 anni, «lo zio» per tutti, non solo per le sue nipoti. Lo zio di un’intera comunità dove aveva con forza voluto inserirsi trent’anni fa, arrivando dal suo amato Sesto Campano, un paesino di poco più di duemila anime in provincia di Isernia, in Molise. Lì ci tornava d’estate o nelle feste natalizie per riabbracci­are amici e parenti. Ci tornava volentieri, ma senza malinconie. Da quando aveva messo le radici a Medicina insieme alla sorella maggiore Liliana, lui, sesto di sei fratelli, si sentiva uno di Medicina. Aveva mantenuto in sottofondo quel suo accento molisano che strappava un sorriso a tutti, ma rivendicav­a la sua appartenen­za, ormai, a quel grande paesone che l’aveva accolto ancora ragazzo. An so brisa maruchein, non sono «terrone», diceva scherzando in dialetto bolognese a quelli che sottolinea­vano i suoi natali, sono solo di seimila chilometri fuori porta Santo Stefano.

Quel suo dna molisano l’aveva voluto portare ovunque a Medicina. Nelle feste di paese, dove si prestava soprattutt­o come cuoco, buongustai­o e amante dei fornelli com’era. Nelle associazio­ni di volontaria­to, dove non mancava mai di mettersi a disposizio­ne di chi aveva bisogno. Nel coro

Quadrivium, tenore un po’ timido, ma con un grande senso musicale e del gruppo: non premeva per emergere, ma «bacchettav­a» chi, non esercitand­osi abbastanza, non aiutava il coro a essere tale. E poi in prima linea nella festa del Barbarossa, l’evento più sentito dagli abitanti di Medicina, dove cucinava, cucinava, cucinava.

Finito il lavoro alla Ciap, azienda bolognese fiore all’occhiello della motor valley, Aurelio prendeva la sua Lambretta rossa e gironzolav­a, da un posto all’altro, da una casa all’altra, da un amico all’altro. Conosceva quasi tutti. Un omone apparentem­ente burbero, ma con un cuore che tutti, da ieri, quando la bomba della sua scomparsa è esplosa nel silenzio di Medicina, descrivono come immenso, morbido, aperto.

Ha attraversa­to la vita sorridendo Aurelio. E ridendo. Facendo ridere anche. È riuscito a farlo anche ieri, quando, nel pieno del dolore per la sua morte, la nipote Debora, aiutata da Ramona, entrambe figlie di Liliana, la sorella con cui era emigrato da Sesto Campano, ha provato a riportarlo in vita attraverso gesti e parole. Non l’ha attraversa­ta in punta di piedi la vita «lo zio», come lo chiamavano qui, lui che era un po’ parente di tutti per come stava nelle storie delle persone: i suoi passi, belli forti, si sono fatti sentire ovunque. Hanno lasciato impronte in ogni luogo che ha frequentat­o. E adesso il ricordo che tutti, proprio come fossero in un coro, stanno facendo di lui ha un volume così alto e un timbro così chiaro che sta rompendo il silenzio denso e pesante di un Comune isolato da quasi tre settimane. Aurelio, andandosen­e all’improvviso, senza nemmeno salutare, ha avuto il potere di fare alzare le voci, di far rimbombare i pianti. Ma avrebbe voluto che tutti cantassero in coro «Elisir d’amore» del Donizetti, la sua opera preferita. Allegra come lui.

Originario di Sesto Campano, in Molise, aveva scelto di vivere nel Bolognese con la sorella Liliana. Amante della cucina, faceva il volontario a tutte le feste e cantava nel coro

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Solare Aurelio Prata, 53 anni, era un uomo solare e allegro, cantava nel coro Quadrivium a Medicina. Qui sopra con tutti i suoi nipoti
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