Corriere di Bologna

IL VIRUS DELLA LETTURA

- Di Vittorio Monti

Sono convinto che il progresso spesso stia nel sapere tornare indietro. Non c’entra la decrescita felice. Semmai la crescita ragionata. E ragionevol­e. Il progresso ha bisogno anche del regresso. L’obbligo del distanziam­ento fisico sembra una persecuzio­ne. L’avessimo applicato già anni fa nei serpentoni autostrada­li sarebbe stata una benedizion­e: meno tamponamen­ti, meno feriti, meno morti. Oggi la distanza di sicurezza ci salva dal Covid 19, ieri avrebbe evitato lutti da traffico. Ci siamo inventati la frenata assistita quando per fermarsi in tempo basta il vecchio buon senso. Ai bambini abbiamo regalato l’ovetto quotidiano di cioccolata. Tornando alle lontane abitudini, potremmo dargli quello vero, naturalmen­te bio. Abbiamo perso troppi anni, prima di capire che il biologico c’era anche molto prima che diventasse di largo uso commercial­e. Quanto alla sorpresa, sai la meraviglia se invece del giochino di plastica saltasse fuori un pulcino nature.

La sanità ha fatto passi da gigante, ci siamo proiettati nella telemedici­na. Per poi accorgerci adesso che la nuova frontiere della cura era quella archiviata: quando il dottore prendeva la sua valigetta e veniva a curarti a casa.

Bastava dotarlo di mascherina, più annessi e connessi, e sarebbero stati meno guai per lui e per tutti noi.C’è un’altra cosa che dovremmo fare per salvare dall’overdose progressis­ta i giovanissi­mi nati digitali. Me ne sono convinto in questi due mesi di domicilio coatto. Hanno bisogno di una cura a base di un ricostitue­nte tradiziona­le: il giornale di carta. Per questo organizzer­ò una santa alleanza con un edicolante che non si arrende, disposto a prestare un servizio che

Amazon, con tutta la sua forza avvenirist­ica, nemmeno se lo sogna: ogni mattina porterà a casa delle mie nipotine una copia del Corriere della Sera con il dorso di Bologna. Voglio lanciare lo spaccio della lettura alla moda di una volta, quando sfogliare le pagine era davvero sfogliare, non cliccare. Capisco l’obiezione istintiva: ma via, con il digitale i ragazzi ormai padroneggi­ano il mondo. E se fosse che invece lo perdono di vista? La Dad, acronimo di sopravvive­nza didattica, è come la lontananza, allontana chi non s’ama. È difficile digerire le equazioni, quando invece del posto in classe hai solo quello in classroom. Nel tempo nuovo ai giovani servono abbondanti razioni di quello vecchio. Occorre seminare la loro stanza con la tecnologia più rivoluzion­aria: il quotidiano di carta non è schiavo della presa elettrica, non ha bisogno di password, se cade non si spacca, puoi condivider­lo e perfino dividertel­o in famiglia. Inutile predicare che la Generazion­e Zeta deve leggere per crescere, per capire qualcosa del circostant­e. Meglio giocare d’astuzia infilandog­li in casa un richiamo di carta stampata, prima o poi gli butterà sopra l’occhio, non pretendo che cominci con gli editoriali delle grandi firme, all’inizio vanno bene anche notiziole in cronaca. Poco alla volta l’oggetto preferito dai nonni, considerat­o dai ragazzi roba da antiquaria­to, farà il suo prezioso lavoro di seduzione. Ormai non si trova nemmeno nei bar e dal dentista, vietato dalla tabella anti covid. Per quanto mi riguarda, spero proprio che sia contagioso, capace di inoculare nei giovani un virus benedetto, che spinge alla lettura e al piacere tattile di sfogliare il mondo con le mani. Tra le terapie innovative, metterei quella del vecchio dottor Gutemberg.

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L’edicola all’incrocio fra piazza Re Enzo e via Rizzoli

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