I GIOVANI E I BUONI MAESTRI
«Senza anziani non c’è futuro». Figuriamoci senza giovani. L’appello in difesa dei vecchi, contro la cultura dello scarto, ha un intento nobile. L’uomo non è uno yogurt, con scadenza incorporata. La Comunità di Sant’Egidio ha puntato il dito contro la piaga infettata dal covid: quando è troppo lunga la fila per la salvezza, cova la tentazione obbligata della scelta. L’antico «prima le donne e i bambini» ha fatto capolino in sala di rianimazione, nella cruda versione terzo millennio: precedenza rianimatoria a chi, soprattutto per età, ha più speranza di guarire. Il manifesto anti sanità selettiva ha raccolto autorevolissime adesioni, grandi nomi, grandi saggi, però tutti molto avanti con gli anni. Lo dico senza volere svalutare i miei coetanei: sarò più tranquillo quando vedrò lo stesso lodevolissimo proposito firmato dagli under 30. Cioè da chi non è stato coinvolto dalle politiche generatrici della situazione attuale. La storia viene da lontano, costellata di scelte meno drammatiche di quelle affiorate negli ospedali e negli alberghi più o meno pii, ma convergenti nel portare alla sbilanciata situazione attuale. Non mi aspetto il rimedio dai capelli bianchi. Invece confido molto nella forza giovanile.
Ho fiducia che abbia in sé quel seme di altruismo che la nostra generazione ha troppo sprecato. Se le radici di un albero hanno resistito all’atomica di Hiroshima, tanto da rigenerare la pianta nell’epicentro dello sterminio, perché non credere alla rifioritura dei valori, nonostante anni di sfrenato consumismo. Spero di vedere gesti generosi dai giovani, moderni Enea che si caricano sulle spalle il peso dei padri. Spero che sappiano farsi largo nella società per cambiare le regole del gioco e trovare equilibrio tra le generazioni. Estrema utopia di un deluso dai coetanei? Più probabile testarda fiducia nell’umanità. Ma con l’occhio attento quanto basta per vedere che non stiamo allenando al meglio le nuove leve. Oltre all’edonismo ingordo, devono superare un’insidia più subdola: il buonismo. I grandi si fanno belli vezzeggiando i piccoli. Seppure con affettuosi intenti propongono un’allegria simbolica di fine anno, benché ci sia da meditare e ricordare più che da festeggiare. Non tutto è perduto visto che ci sono resistenze all’impulso festaiolo e molti docenti insistono su un dato di fatto: la didattica a distanza, lodevole pronto soccorso, ha lasciato danni collaterali sugli studenti, i primi a comprendere che la vera scuola è a scuola. Quest’annata stramba sarà un’altra spinta al tutti promossi e ulteriore freno all’ascensore sociale azionato da studio e merito. Ciò mentre al Paese occorre una next generation senza le gravi lacune segnalate da Angelo Panebianco: «Il diritto allo studio non è sinonimo di diritto al diploma». I giovani, purché li si ascolti, confermano che non gli servono spensierati party di fine anno e foto opportunity. Necessitano di buoni maestri, non di maestri buoni. Di scuole nuove o messe davvero in sicurezza. Inutile chiedersi se i mesi off siano stati utilizzati per portarsi avanti con i lavori. Inutile perché la risposta è scontata. Mette tristezza l’immagine a marchio Azzolina con i nostri figli ingabbiati nel plexiglas, in caso di un settembre nero con il virus. Scartata nelle spiagge, la plastica si riaffaccia nelle aule. Vero che i sogni non finiscono mai: purtroppo anche gli incubi.