Il canzoniere delle Lame il Juke-box del Pci
Il Biografilm chiude con la prima dell’opera di Vendemmiati sul Canzoniere delle Lame: «Ma non è un documentario nostalgico»
Per un solo giorno, dopo il lockdown, riaprirà il Pop Up Medica Palace di via Montegrappa, la sala più grande di Bologna. L’occasione sarà domani sera alle 20.30 la proiezione, a inviti, de «Gli anni che cantano», il documentario che il regista Filippo Vendemmiati ha dedicato allo storico gruppo bolognese del Canzoniere delle Lame. Evento di chiusura di un «Biografilm» che si è svolto in streaming e che si conclude invece con proiezione e premiazioni dal vivo. Il documentario sarà on line già da oggi alle 14 con posti nella sala virtuale prenotabili su www.mymovies.it, dove alle 16 si potrà ascoltare anche una videointervista al regista e a Janna Carioli, del nucleo fondativo del Canzoniere.
Vendemmiati, il Medica riaprirà solo per il suo film…
«È vero, siamo in una fase di grande confusione. Ma io ci avrei messo la firma se mi avessero detto a Pasqua che a metà giugno ci sarebbe stata una riapertura, quando le previsioni erano invece per fine anno. Il nostro, poi, è un film allegro, positivo, dove c’è gente che ride. È bello che tocchi a noi essere un po’ il simbolo della riapertura».
C’è ancora qualche connessione tra la canzone politica di quegli anni e la musica di oggi?
«Non c’è paragone con la musica popolare e folkloristica di un tempo, che era gratis. Quelli del Canzoniere non erano professionisti, poi alcuni lo sono diventati e si sono raffinati, erano giovani politicizzati, di sinistra, del Pci. In buona parte le loro erano canzoni a richiesta, c’era una baracca in Piazza Maggiore dove delegati e operai chiedevano composizioni da usare nelle manifestazioni».
Una sorta di juke-box?
«La celebre canzone del Cantagallo era nata proprio così. Un anonimo romagnolo aveva lanciato una strofa e loro avevano inciso un disco per i lavoratori del Cantagallo che rischiavano il licenziamento.
Quando i benzinai facevano il pieno proponevano anche la cassetta, fu un successo clamoroso».
Cos’era la musica per il Canzoniere?
«Era il loro modo di fare politica, il cemento iniziale che li ha tenuti insieme, il loro orizzonte comune. A un certo punto, negli anni ’80, hanno deciso di dividersi e hanno seguito percorsi diversi. Ma sono ancora quelli di ieri, un gruppo dalla grande forza musicale e amicale».
Che rapporto avevano con Bologna?
«Con Bologna avevano un rapporto ombelicale molto stretto, anche se poi hanno girato pure a Berlino, Parigi e Cuba. E il pulmino che c’è nel film è il simbolo della musica on the road. Il loro rimpianto è di non aver mai potuto suonare il Primo Maggio in Piazza Maggiore, per questo mi piacerebbe che il film fosse proiettato in piazza, un po’ come risarcimento».
Nel film ci sono anche due giovani musicisti di oggi, Albi Cazzola de Lo Stato Sociale e Giacomo Gelati di Altre di B.
«Jack e Albi hanno creato un’intimità anche intellettuale con il gruppo. In fondo la musica ha conservato le stesse modalità. Jack, che guidava il furgone, ascoltava curioso i racconti sugli sfottò o sui i posti dove non c’era nessuno ad aspettarli».
Come mai nel film non c’è «Bella ciao»?
«Non l’abbiamo messa volutamente, anche se chiudeva i loro concerti. Però in tutto il mondo è diventata un simbolo della lotta per la pace, per i diritti, anche grazie a delle serie tv. È stata fatta da tutti gli artisti, ne ho sentito anche una versione dei Vigili del fuoco di Londra».
Che futuro avete immaginato per il film in una situazione così complicata?
«Il film è prodotto da Filandolarete e Open Group mentre la distribuzione è di Genoma. L’obiettivo è fare d’estate proiezioni all’aperto e poi qualche festival, coinvolgendo magari Berlino e Parigi. Anche Circuito Cinema ha mostrato interesse. Il mio timore iniziale era fare un film nostalgico sui bei tempi che furono. Ho avuto discussioni accese con loro che non si fidavano e sono belli tosti, poi abbiamo cominciato a piacerci e spero di aver evitato il rischio».