IL TEMPO DELLE SCELTE
Mentre a Roma proseguono gli Stati generali indetti dal premier Giuseppe Conte per definire il piano di rilancio del sistema Italia colpito dal lockdown, Romano Prodi promuove e guida sotto le Due Torri un convegno in streaming dal titolo significativo («Bologna che guarda al futuro»). Nella capitale si alternano per una decina di giorni numerose personalità in una lunga serie di ricette e richieste, mentre qui l’agenda è fortunatamente più ristretta a tre date consecutive. La coincidenza dei due eventi è casuale quanto significativa: perché se è certo più complesso mettere a punto un progetto che investe un’intera nazione caratterizzata da molte disparità, ciò non significa che il metodo di lavoro debba essere molto dissimile quando si opera su scala minore. Non a caso, commentando il summit di Villa Pamphilj, Prodi ha osservato che «in Italia il problema della sintesi governativa è serissimo. Occorre qualche decisione che svegli l’opinione pubblica, la smuova, che è diverso dagli Stati generali. Servono decisioni immediate, c’è bisogno di un messaggio forte». Non solo: è necessario avere la capacità di scrutare le pieghe del presente per immaginare come sarà il domani e per darsi una meta ambiziosa.
In un simile processo è indispensabile stabilire quali siano i capisaldi e quali gli strumenti fondamentali, sapendo che ci si dovrà impegnare pure su altri fronti ma senza perdere di vista gli obiettivi principali. Altrimenti si finirà per compilare una lista di desiderata dalla quale pescare a volontà o secondo convenienza, senza tuttavia imboccare una rotta decisiva. Romano Prodi e Patrizio Bianchi, nella ricca intervista rilasciata domenica al Corriere di Bologna, hanno dimostrato efficacemente come si elabora una strategia.
Così facendo, credo non intenzionalmente, hanno svelato la leggerezza della politica contemporanea relegata a tweet e battute a uso televisivo, ma raramente usa a riflessioni di spessore che non si traducano in slogan o che prescindano dalle logiche di dialettica interna.
Costruire il futuro di Bologna e dell’EmiliaRomagna partendo dalla definizione di «città cognitiva» vuol dire fare una scelta di campo che, indicando quale sia il crinale su cui si vince o si perde la partita della competizione globale, non esclude però la pluralità di risorse e di eccellenze del territorio.
Come abbiamo visto, si può benissimo pensare allo stesso tempo ai big data e a un grande evento gastronomico in piazza Maggiore. Ha ragione il
Professore quando evidenzia che ci troviamo a «una curva della storia»: presentarsi ben equipaggiati non basta, adesso è l’ora di puntare sulle sfide essenziali per non accumulare ritardi esiziali. Bologna padrona dei big data, le qualificate università messe in rete, la Motor Valley che brilla per la tecnologia oltre che per lo stile, alcune filiere industriali di grande forza (packaging su tutte), una sanità di avanguardia che ha dato prova di solidità anche di fronte alla pandemia: ecco i pilastri. Che sostengono il sistema e che a loro volta devono essere sostenuti: da qui l’attenzione all’educazione delle nuove generazioni fin dagli asili nido e dalle scuole dell’infanzia («Perché lì formi bambini che poi diventano ragazzi consapevoli», come ha sottolineato Bianchi) nonché la cura della cultura umanistica che aiuta sia a «leggere» il mondo, sia a spingere lo sviluppo tecnologico (infatti i filosofi sono assai richiesti nel campo dell’intelligenza artificiale e dell’informatica). Avendo ben orientato la bussola, gli altri grandi temi —dalla demografia all’urbanistica alla sanità — si tengono insieme in una visione coerente. Un’ultima considerazione: partire con il piede giusto non garantisce di arrivare al traguardo.
Dalla tre giorni prodiana, insomma, si attendono proposte concrete, altrimenti il pensatoio rischia di essere un esercizio intellettuale comunque utile, ma sterile.