Droga, sgominata la banda della coca
Il gruppo vicino ai clan di Africo, 9 arresti. Le cimici, le intercettazioni, i clienti
Nell’ambito dell’operazione «Aquarius» nove persone (6 in carcere e 3 agli arresti domiciliari) sono state ritenute responsabili, a vario di titolo, del reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Tra i clienti della banda anche camerieri di diversi ristoranti di Bologna, avvocati e imprenditori. Agli arresti è finito anche un oste di via Petroni. La base era in un’autofficina di via del Lavoro.
” Pierluigi Sollazzo Disponevano di un’elevata dotazione tecnologica che ci ha costretto ad avvalerci di strumenti informatici ad alta complessità I «cryptophone» La banda usava telefoni criptati difficili da intercettare e del valore di 3 mila euro
Un’organizzazione caratterizzata da un elevato «calibro criminale», che vantava legami solidi e parentele importanti con i più potenti clan di ‘ndrangheta, capace di importare ingenti quantità di cocaina e hascisc, probabilmente dal Sudamerica, da smerciare nelle piazze di Bologna e Firenze.
L’operazione del nucleo investigativo e operativo dei carabinieri del comando provinciale di Bologna ha smantellato un’associazione a delinquere dedita al narcotraffico, con base decisionale e operativa sotto le Due Torri, formata da soggetti calabresi con solidi legami con il clan Morabito-Palamara-Bruzzaniti di Africo. Dieci in tutto gli indagati, di cui sei sono finiti in carcere e tre ai domiciliari.
Al vertice c’era Nunzio Pangallo, 47enne di Africo, da vent’anni operativo tra la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna, uscito dal carcere nel 2015 dopo 15 anni. È cognato di Rocco Morabito, superlatitante calabrese, per la Dea americana uno dei più importanti narcotrafficanti a livello globale. Pangallo è indicato dai pentiti come «uno che fa arrivare la droga in tutti i modi e da tutte le parti: Sudamerica, Nord Europa, dai porti di Anversa e Amsterdam, Belgio, Germania, con le navi, con le macchine, con i camion». A lui gli inquirenti sono riusciti a ricondurre un Blackbarry criptato rinvenuto in un’altra operazione antidroga che nel 2016 permise di intercettare mezza tonnellata di cocaina su uno yacht al largo di Capo Verde. Nel frattempo Pangallo si è spostato da Bologna e Vicchio, nel Fiorentino, a seguito del trasferimento della moglie insegnante di scuola elementare, anche lei indagata a piede libero, ma veniva spessissimo a Bologna per incontrare Francesco Tiano, detto «Riminacchio» suo braccio destro, socio occulto di un’azienda di autonoleggio in via del Lavoro, fittiziamente intestata al figlio Emilio, per gli inquirenti base logistica dell’associazione.
Lo stupefacente veniva nascosto nel vano della ruota di scorta delle auto conservate in un garage nelle vicinanze. Incontri
a cui partecipavano anche Elia Stilo, 29enne di Locri, Francesco Dangeli, 48enne di Reggio Calabria, che si svolgevano sempre in un parco in zona, dopo che gli indagati avevano lasciato i telefoni. Per intercettarli, i carabinieri hanno dovuto dotare di telecamere e microfoni giardini pubblici e persino panchine.
Negli incontri si discuteva della compravendita in comune di partite di droga e della loro redistribuzione sul mercato. L’associazione era dotata di telefoni altamente tecnologici, modello Aquarius, da cui deriva il nome dell’operazione, apparecchi del costo di 3.000 euro, impossibili da intercettare e dotati di un software che in caso di digitazione di un codice sbagliato formatta il telefono rendendo impossibile il recupero dei dati. «Ti faccio un esempio, ti suonano la mattina alle 6 i carabinieri» spiega Stilo a un altro indagato, «tu prendi e lo spegni…e poi quando lo accendono non c’è più niente, sembra un telefono appena comprato». Gli apparecchi venivano introdotti in Italia da un albanese dipendente della compagnia di bandiera dell’Albania, che si muoveva liberamente in aeroporto.
«Disponevano di un’elevata dotazione tecnologica che ci ha costretto ad avvalerci di strumenti informatici ad alta complessità» ha spiegato il colonnello Pierluigi Solazzo, comandante provinciale dei carabinieri di Bologna. L’operazione, condotta in cinque regioni con 100 militari impiegati, è stata coordinata dal pm della Dda Roberto Ceroni. Nei due anni di indagini sono stati sequestrati circa 3 chili e mezzo di cocaina, a fronte di partite ben più ingenti «a riprova dell’alto grado criminale e di accortezza dell’associazione» ha spiegato il tenente colonnello Diego Polio.