«Lo smart working una rivoluzione inattesa Il 70% delle nostre aziende è pronta a continuare»
Katia Gruppioni: «È stato come spalancare una finestra e scoprire che l’aria che entrava era buona»
L’imprenditrice di Sira Group è presidente regionale dell’associazione delle donne di Confindustria
«Abbiamo capito che non c’è bisogno di andare a New York per portare a casa un contratto». Basta questa frase di Katia Gruppioni (foto), nel management della multinazionale di Rastignano Sira Group e presidente della delegazione emiliano-romagnola di Aidda, l’associazione imprenditrici e donne dirigenti d’azienda (sono oltre 800 in Italia), per definire lo smart working: «Una rivoluzione inattesa». Una migliore conciliazione dei tempi di vita e lavoro, l’aumento della produttività dei singoli e il risparmio di tempo e risorse economiche. Un welfare aziendale che — assicura — «andrà normato e concordato insieme ai sindacati» che, in alcuni casi, si stanno già mettendo avanti: da ieri, per esempio, la FiomCgil sta distribuendo davanti ai cancelli della Marchesini Group un questionario per sondare il gradimento del lavoro agile fra i 700 addeti. «Anche la direttrice delle risorse umane Valentina Marchesini fa parte del think tank di Aidda», plaude Gruppioni.
Lo smart working è stata una pratica fortemente consigliata dal governo per garantire il distanziamento fisico in questi mesi di emergenza sanitaria. Come è andata nelle imprese della nostra regione?
«È stato come spalancare una finestra che era già semiaperta e accorgersi che l’aria che entrava era buona».
Proseguirà anche dopo, quindi?
«Scommetto che il 70% delle imprese, soprattutto le più strutturate, proseguirà con questa modalità di lavoro anche ad emergenza finita. Numeri chiari si avranno solo in autunno, quando lo smart working non sarà più una forzatura ma una scelta. La sensazione è che sarà molto difficile rinunciare completamente ai tanti benefici acquisiti e su cui prima del Covid molti, soprattutto gli uomini, erano riottosi».
Indichi qualcuno di questi benefici...
«Molte delle imprese femminili nostre associate utilizzavano lo smart working anche prima. La verità è però che quando non c’è la necessità non si trovano nemmeno le soluzioni. Il lockdown ha aguzzato l’ingegno e creato reti. Abbiamo capito che certe scelte permettono di risparmiare tempo e risorse e di migliorare dal punto di vista organizzativo la nostra qualità della vita».
Il lavoro agile, però, non può essere applicato né a tutti i settori né a tutte le mansioni...
«In produzione la presenza è indispensabile. Ma nei servizi sono tantissime le figure che possono lavorare, mantenendo la stessa efficienza, da remoto. Anche se siamo italiani (ride), non è il toccarsi che fa la differenza. La presenza, il guardarsi negli occhi, può essere garantita anche su Zoom. E questo vale anche, e soprattutto, per le figure apicali che hanno il polso della situazione e l’autonomia per prendere decisioni e gestire l’alternanza: ponderare quando la presenza è veramente necessaria, ottimizzando e riducendo sprechi e tempi morti».
Quale potrebbe essere la formula, quanti giorni alla settimana?
«Anche tre giorni se la mansione lo consente, il lavoratore lo richiede e l’azienda lo ritiene praticabile. Servirà calibrare bene i tempi: i momenti “inside” devono esserci; servono a motivare e a condividere energie».
Da casa si è produttivi come in ufficio?
«Ci sono le più disparate teorie. C’è chi dice che l’ambiente di lavoro aiuti a restare sul pezzo e che il contesto familiare sia più dispersivo. Chi sostiene il contrario. Io credo che, anche se è innegabile che le donne siano multitasking e in grado di muoversi su più tavoli contemporaneamente, lo smart working sia utile soprattutto se alternato all’interno della coppia: solo se il carico del lavoro di cura viene distribuito equamente la qualità della vita ne trarrà vantaggio».