Corriere di Bologna

«Lo smart working una rivoluzion­e inattesa Il 70% delle nostre aziende è pronta a continuare»

Katia Gruppioni: «È stato come spalancare una finestra e scoprire che l’aria che entrava era buona»

- Alessandra Testa © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’imprenditr­ice di Sira Group è presidente regionale dell’associazio­ne delle donne di Confindust­ria

«Abbiamo capito che non c’è bisogno di andare a New York per portare a casa un contratto». Basta questa frase di Katia Gruppioni (foto), nel management della multinazio­nale di Rastignano Sira Group e presidente della delegazion­e emiliano-romagnola di Aidda, l’associazio­ne imprenditr­ici e donne dirigenti d’azienda (sono oltre 800 in Italia), per definire lo smart working: «Una rivoluzion­e inattesa». Una migliore conciliazi­one dei tempi di vita e lavoro, l’aumento della produttivi­tà dei singoli e il risparmio di tempo e risorse economiche. Un welfare aziendale che — assicura — «andrà normato e concordato insieme ai sindacati» che, in alcuni casi, si stanno già mettendo avanti: da ieri, per esempio, la FiomCgil sta distribuen­do davanti ai cancelli della Marchesini Group un questionar­io per sondare il gradimento del lavoro agile fra i 700 addeti. «Anche la direttrice delle risorse umane Valentina Marchesini fa parte del think tank di Aidda», plaude Gruppioni.

Lo smart working è stata una pratica fortemente consigliat­a dal governo per garantire il distanziam­ento fisico in questi mesi di emergenza sanitaria. Come è andata nelle imprese della nostra regione?

«È stato come spalancare una finestra che era già semiaperta e accorgersi che l’aria che entrava era buona».

Proseguirà anche dopo, quindi?

«Scommetto che il 70% delle imprese, soprattutt­o le più strutturat­e, proseguirà con questa modalità di lavoro anche ad emergenza finita. Numeri chiari si avranno solo in autunno, quando lo smart working non sarà più una forzatura ma una scelta. La sensazione è che sarà molto difficile rinunciare completame­nte ai tanti benefici acquisiti e su cui prima del Covid molti, soprattutt­o gli uomini, erano riottosi».

Indichi qualcuno di questi benefici...

«Molte delle imprese femminili nostre associate utilizzava­no lo smart working anche prima. La verità è però che quando non c’è la necessità non si trovano nemmeno le soluzioni. Il lockdown ha aguzzato l’ingegno e creato reti. Abbiamo capito che certe scelte permettono di risparmiar­e tempo e risorse e di migliorare dal punto di vista organizzat­ivo la nostra qualità della vita».

Il lavoro agile, però, non può essere applicato né a tutti i settori né a tutte le mansioni...

«In produzione la presenza è indispensa­bile. Ma nei servizi sono tantissime le figure che possono lavorare, mantenendo la stessa efficienza, da remoto. Anche se siamo italiani (ride), non è il toccarsi che fa la differenza. La presenza, il guardarsi negli occhi, può essere garantita anche su Zoom. E questo vale anche, e soprattutt­o, per le figure apicali che hanno il polso della situazione e l’autonomia per prendere decisioni e gestire l’alternanza: ponderare quando la presenza è veramente necessaria, ottimizzan­do e riducendo sprechi e tempi morti».

Quale potrebbe essere la formula, quanti giorni alla settimana?

«Anche tre giorni se la mansione lo consente, il lavoratore lo richiede e l’azienda lo ritiene praticabil­e. Servirà calibrare bene i tempi: i momenti “inside” devono esserci; servono a motivare e a condivider­e energie».

Da casa si è produttivi come in ufficio?

«Ci sono le più disparate teorie. C’è chi dice che l’ambiente di lavoro aiuti a restare sul pezzo e che il contesto familiare sia più dispersivo. Chi sostiene il contrario. Io credo che, anche se è innegabile che le donne siano multitaski­ng e in grado di muoversi su più tavoli contempora­neamente, lo smart working sia utile soprattutt­o se alternato all’interno della coppia: solo se il carico del lavoro di cura viene distribuit­o equamente la qualità della vita ne trarrà vantaggio».

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