Virus senza confini
Le pandemie di oggi e quelle di ieri al festival di Limes sul Rubicone Lo storico Brizzi: «Quella voglia di vivere e di ignorare il contagio»
Non poteva che iniziare sulle sponde del Rubicone un festival intitolato Limes. Dialoghi di confine.
Perché tutti ricordiamo l’«Alea iacta est» di Cesare che entra in armi nel territorio romano, e anche perché non c’è fiume più simbolico dello svaporamento dei confini, dato che i corsi d’acqua che oggi ambiscono al nome di Rubicone sono ben tre, e pochi potrebbero giurare di sapere qual è quello varcato dalle legioni.
Il festival comincia oggi, dal vivo (prenotazioni info@limesfestival.it), e poi si trasforma in incontri in streaming sui canali YouTube e Facebook di Limes Festival, fino al 26, organizzato dal Comune di Savignano sul Rubicone, dalle edizioni il Mulino, che schierano alcuni dei loro autori più prestigiosi, con il patrocinio dell’Istituto dei beni culturali della Regione e dell’Alma Mater. Coordina la pattuglia di studiosi che si interrogheranno, sempre dalle 18.30, su «Antiche pesti e nuovi confini» Giovanni Brizzi, già ordinario di Storia romana.
Professor Brizzi, che confine era il Rubicone?
Era un limite sacrale e politico. A nord vivevano le popolazioni galle, spesso in conflitto con i Romani. Era la porta d’entrata nella Repubblica e varcarlo in armi era considerato atto ostile Non troppi decenni dopo viene eretto a Rimini l’Arco di Augusto che con la sua apertura indica lo spostamento del confine alle Alpi, più o meno lo stesso che abbiamo oggi.
In che modo parlerete di confini e diffusione di malattie?
Inizierò io trattando delle pandemie nel mondo antico, non tantissime in realtà, ma facili da propagarsi in un impero romano che contava 53mila chilometri di strade. La più terribile fu la peste antonina, alla fine del secondo secolo dopo Cristo, ai tempi dell’imperatore Marco Aurelio, diffusa per colpa dello spostamento delle legioni tra le varie zone dell’impero.
Sempre oggi Giuseppina
Muzzarelli discuterà delle «Regole del lusso» e Nadia Urbinati di «Come confinare i populismi»…
La professoressa Muzzarelli ha scritto un libro sulle legislazioni comunali che regolavano l’esibizione del lusso, con inasprimenti in epoche di contagi. Urbinati allargherà il discorso a come oggi sia impossibile chiudere i confini, come vorrebbero i populismi. Nei giorni successivi Egidio Ivetic, partendo dall’«Infinito» di Leopardi, darà uno sguardo al confine Adriatico, trattando di rapporti tra la due sponde e di diffusione di pestilenze via mare. Valerio Magrelli racconterà «La peste» di Camus. Concludiamo l’ultimo giorno con un dialogo tra Franco Cardini e me e con un intervento di Mauro Bonazzi sul mistero fragile della bellezza greca.
Quali erano le reazioni nel mondo antico alle epidemie?
Si attuavano restrizioni, ma si riscontrava anche un cupio dissolvi simile a quella del racconto di Poe «La maschera della morte rossa», una sfrenata voglia di vivere e di ignorare il contagio.
I virus sono «nemici senza confini»?
Spesso è difficile identificare epidemie e pandemie dell’antichità. Il vaiolo nell’età media repubblicana fu limitato spesso a Roma, mentre la peste antonina investì tutto l’impero, a partire dalla Siria, fiaccandone le strutture militari, con un esercito decimato fino al 30 per cento dei suoi effettivi. Allora fu più facile per i barbari premere sui confini. C’è una differenza di “animus” tra la Colonna traiana, espressione dello splendore di Roma, e la Colonna antonina, in cui vediamo incombere il terrore.
Cosa direte nell’incontro con Cardini?
Io parlerò del mondo antico, da lui mi aspetto collegamenti tra Medioevo e presente, dalla peste nera a oggi.
Quindi, i confini?
Possono poco o nulla. Lo abbiamo visto in questa pandemia, che pure non ha avuto la forza terribile della spagnola, che decimò l’Europa dopo la Grande guerra