Fergnani, Fossoli e i tre numeri per l’inferno di Mauthausen
Dal carcere milanese di San Vittore al campo emiliano di Fossoli e quindi a Mauthausen, il libro Un uomo e tre numeri, ripubblicato di recente da Unicopli recuperando il titolo originario rispetto a quello, Scordatevi di essere vivi, usato in altre edizioni, narra il calvario di un gruppo di prigionieri politici italiani caduti nelle mani della polizia nazifascista.
La strage di Fossoli in Emilia-Romagna, la caccia agli ebrei, la crudeltà degli aguzzini e la follia dei comandanti emergono dalle pagine di una delle testimonianze dirette più importanti sulla deportazione. Scritta dall’emiliano
Enea Fergnani, nato a Cento a fine Ottocento, fervente mazziniano negli anni giovanili, laureato in Giurisprudenza a Bologna nel 1920 e deciso oppositore del regime fascista anche dopo il suo successivo trasferimento a Milano, dove si avvicinò al movimento Giustizia e Libertà. Arrestato alla fine del 1943, Fergnani, padre del filosofo Franco, maestro dello psicoanalista Massimo Recalcati, venne mandato dapprima a Fossoli, campo di concentramento nel modenese che funzionò da smistamento di prigionieri ebrei e oppositori politici, e poi a Mauthausen.
Rientrato in Italia nel 1945, fu tra i promotori dell’Associazione dei Perseguitati politici italiani antifascisti. Pubblicato con il patrocinio dell’Aned e introdotto da un saggio di Marzio Zanantoni che, attraverso carte inedite, ripercorre le vicende delle principali edizioni del libro, uscito la prima volta nel dicembre 1945, il volume comprende la prefazione di una precedente edizione, rimasta finora inedita, firmata da Luciano Violante, il cui zio morì a Mauthausen. «È stato — scrive l’ex presidente della Camera — il libro della mia prima maturazione politica. Scritto da un avvocato antifascista, prima detenuto a San Vittore, poi a
Fossoli e poi a Mauthausen, parla in più passaggi della analoga odissea vissuta da un fratello di mio padre, Alfredo, che finì i suoi giorni nel campo di sterminio. Fortunatamente Enea Fergnani riuscì a tornare in patria e a scrivere la cronaca asciutta, perciò ancora più incisiva, dei suoi lunghissimi diciotto mesi nelle mani della polizia fascista, della Gestapo e delle SS».
Una progressiva discesa nell’inferno sintetizzata proprio da quei 3 numeri ricevuti nel passaggio da un campo all’altro «di uomini che non perdono mai la loro dignità».