Pmi e artigiani, un inizio 2020 nero fatturati crollati fino al 45 percento
Drammatici i dati della Camera di Commercio sul primo trimestre. Record negativo per hotel e agenzie di viaggio
Fusioni e giovani. Sono queste le parole chiave per il rilancio dell’economia locale secondo Valerio Veronesi, presidente della Camera di Commercio di Bologna, che ieri, nella sede in piazza della Mercanzia, ha presentato i dati relativi all’andamento delle piccole e medie imprese del territorio nel primo trimestre del 2020. Si tratta di una fotografia di certo non positiva e che fa segnare una brusca frenata per l’economia bolognese, condizionata da 20 giorni su 90 di chiusura totale a causa della pandemia. Se si considera poi che fra aprile e giugno quasi tutte le serrande sono rimaste abbassate per altri 60 giorni, non è difficile immaginare che per il secondo trimestre 2020 i dati saranno addirittura peggiori.
Veronesi, infatti, commenta con una amara battuta: «Vorrei che si potesse passare direttamente al terzo trimestre, anche perché il primo di quest’anno sconta una situazione negativa che già si stava registrando alla fine del 2019, quando il calo era del 7%». Nello specifico, la produzione in volume e il fatturato delle piccole e medie imprese dell’industria in senso stretto, nell’area metropolitana di Bologna, perdono l’11,4% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente, mentre diminuiscono del 9,2% il fatturato estero e dell’11,5% gli ordini (-9,4% quelli dall’estero). Il grado di utilizzo degli impianti, che nei primi tre mesi dell’anno ha perso oltre otto punti percentuali, si assesta invece al 66,7%, facendo registrare il peggior dato da settembre 2017 ad oggi.
Ma non è finita. Il comparto dell’artigianato manifatturiero cala del 12,1% la produzione e dell’11,9% in termini di fatturato; l’industria metalmeccanica diminuisce del 13,4% la produzione e del 12,6% il fatturato e anche servizi alle persone e alle imprese (-13,6% il volume d’affari) e commercio al dettaglio (-9,4%) non se la passano sicuramente bene. Negativi anche i trend che riguardano il fatturato di commercio all’ingrosso (-11,6%), strutture ricettive (-45,7%), ristoranti (-28,9%) e agenzie di viaggio (-39,2%). In chiaroscuro, invece, la situazione per il comparto del packaging (-6,5% di fatturato ma +1,5% di domanda estera), dell’industria alimentare (giro d’affari in diminuzione del 6,3% ma +3% di fatturato estero) e del mondo della cooperazione, con la produzione che resta per il terzo trimestre consecutivo al di sopra dello zero (+0,7 per cento), ma con fatturato, ordini ed esportazioni che segnano diminuzioni tra il due il quattro per cento.
Non solo: secondo l’indagine della Camera di Commercio di Bologna solo il 16% delle imprese non ha avuto conseguenze dopo il lockdown, mentre appena il 3% di queste ha aumentato la propria attività, con tre aziende su quattro ricorse alla cassa integrazione ed altri ammortizzatori sociali. «Questi dati non ci piacciono — ammette Veronesi — ma visto che il futuro sarà sicuramente peggio, la cosa migliore da fare è leggerli come un trampolino di lancio per quel cambio di mentalità di cui adesso c’è bisogno. Oggi gli imprenditori devono riuscire a passare dall’altra parte del fiume, ma devono arrivarci vivi».
Dunque cosa serve? Liquidità, elenca il numero uno della Camera di Commercio bolognese, ma anche il superamento del gap tecnologico con gli altri Paesi, imprese più grandi (da creare con fusioni e accorpamenti) e una vera e propria «quota giovani nei cda». «C’è bisogno di un nuovo racconto per i nostri imprenditori e commercianti, altrimenti perderanno la sfida dei mercati internazionali e dell’approccio all’innovazione» sottolinea ancora Veronesi, candidando così l’ente presieduto per una sorta di possibile cabina di regia «per fare percorsi formativi, prevedendo anche delle premialità, magari col contributo della Regione, per chi decide di uscire di scena o di incorporarsi ad altre realtà: non sempre chi ha fondato un’azienda riesce ad affrontare nel tempo le sfide che gli si presentano per il suo bene».
Soprattutto se si parla di tecnologia, è l’antifona di Veronesi, che conclude: «Se per superare la crisi nel 2009 si parlava di fare rete fra imprese, oggi servono incorporazioni e un’aggregazione vera, evitando soprattutto che i nostri ragazzi continuino a lavorare per 1.200 euro al mese o se ne vadano all’estero. Serve, insomma, un nuovo patto con i giovani e non per i giovani».
Se per la crisi nel 2009 si parlò di fare rete fra imprese, oggi serve incorporare ed evitare che i ragazzi lavorino per 1.200 euro al mese