«La mia vita con Carlo tra i consultori, la politica e i nostri Capodanni»
Il collega Corrado Melega ricorda il luminare, amico di una vita
È stato suo collaboratore, aiuto, in qualche modo allievo, compagno di tante battaglie e quindi amico per una vita intera. Eppure fino all’ultimo gli ha dato del lei, chiamandolo «professore». Corrado Melega, ginecologo anche lui, ex direttore del dipartimento Materno-infantile all’ospedale Maggiore, ha condiviso tanto con Carlo Flamigni. Tra medicina, politica, diritti delle donne e vita privata. «Abbiamo trascorso per 30-40 anni il Capodanno assieme, io con mia moglie Carla e lui con Marina», ricorda.
Corrado Melega, avete iniziato ad occuparvi di gravidanze e fecondazione assistita negli stessi anni?
«Sono stato suo collaboratore prima e aiuto poi, dai primi anni ‘70 al ‘90, mi ha introdotto a quella ginecologia, che chiamavamo funzionale, che si occupa di terapia ormonale, fertilità, chirurgia conservativa. Proprio legato al tipo di ginecologia che facevamo c’è stato il nostro rapporto con le organizzazioni femminili, come l’Udi, l’Aied o le femministe radicali. Con l’Udi in particolare andavamo in giro per le fabbriche e i caseggiati per spiegare la contraccezione, che era appena stata sdoganata, dopo l‘abrogazione di un articolo del codice Rocco che la vietava, ma ancora era vista con sospetto».
Nel 1975 Flamigni dirige il servizio di Fisiopatologia della riproduzione al Sant’Orsola.
«E io ero con lui. Grazie alla sua spinta c’è stata un’intesa attività di ricerca e di pubblicazioni, grazie anche ai numerosi allievi e collaboratori. Il legame tra di noi si è rafforzato e non si è mai interrotto, neppure quando mi chiesero di partecipare a un concorso all’ospedale Bufalini di Cesena, dove doveva nascere un altro servizio di Fisiopatologia della riproduzione. Non se ne fece nulla, ma andai a dirigere l’Ostetricia-ginecologia, per qualche anno prima di andare all’ospedale Maggiore. Ci sentivamo spesso, mi ha insegnato il mestiere. Era molto bravo, delegava molto restando vigile per cui noi collaboratori abbiamo imparato davvero».
Lei e Flamigni siete insieme anche nella nascita dei consultori?
«Certamente. I primi due che nacquero in quelli che allora era i quartieri Murri e Mazzini, aperti grazie all’aiuto dei due quartieri, del Comune e delle associazioni di donne, funzionavano su base volontaria, e noi due andavamo come volontari. Poi è iniziata la storia dell’interruzione volontaria di gravidanza con discussioni accese fino alla legge del 1978, poi proseguita con la campagna elettorale in occasione del referendum».
Avete continuato a sentirvi anche dopo i vostri rispettivi pensionamenti?
«È stato un punto di svolta perché la nostra collaborazione è diventato una stretta amicizia, ci siamo sentiti praticamente tutti i giorni per anni. Aveva cambiato i suoi interessi, sempre legati alla libertà e all’autonomia delle donne, allargandoli ai temi della bioetica, diventando membro del Comitato nazionale. Mi mandava tutto ciò che scriveva. Ho perso un amico, ci siamo sentiti anche sabato sera e nel salutarmi ha usato la solita battuta in dialetto romagnolo».
L’insegnamento che lascia alla società è quello di coltivare la laicità, le regole che ci fanno vivere meglio