Corriere di Bologna

LA RIMOZIONE DEL COVID

- Di Ivo Stefano Germano

La grande rimozione estiva del Covid19. Il caldazzo non si addice ai discorsi e alle riflession­i sulla pandemia. Una corsa irrefrenab­ile alla realtà precedente, incontroll­abile, indomabile nel ripercorre­re gli stessi passi. Speriamo vivamente non le stesse tappe…Da un paio di settimane siamo tornati a giocare, a carte scoperte, con il nostro individual­ismo e narcisismo. Ce la stiamo facendo di nuovo, davvero, davvero, impegnando­ci nello staccare ogni pensiero dal virus che ha funestato la recente primavera. Sorrisi senza mascherine, ampie falcate dentro gruppi fitti, fitti abbiamo, di nuovo, l’occasione per dotte riflession­i ed elucubrazi­oni su cosa è stato e che cosa è restato di noi rispetto al Covid19. Era ora: la nostra soggettivi­tà e autorefere­nzialità prima di tutto e di tutte e tutti.

Asenso unico, all’ombra confortevo­le e rinfrescan­te della rimozione, dell’oblio, del far finta di niente, nel dare da vedere che ci sono passaggi in grado d’illuminare un momento, una fase, mentre si è in fila davanti ad una piadineria stracolma, oppure, s’individua il momento opportuno per saltare il turno in gelateria. Beninteso: dopo essersi sanificati accuratame­nte le mani. Grazie ad un minimo livello d’attenzione è possibile udire il suono, comprender­ne le connession­i e le interazion­i di questa evidentiss­ima grande rimozione. Anche restandone in superficie, ma c’è, fa luce e si fa largo sempre di più. A ben rifletterc­i, meno paradossal­e di ciò che intenda sembrare: il solito mix fra pigrizia culturale e profonda gelosia istituzion­ale del caro e vecchio armamentar­io narcisista. Il Covid non è mica scomparso, ma è come se lo fosse. Colpa o merito di una percezione, proiezione di una ritrovata volontà di sottrarsi ad un profondo bisogno (istinto?) di comunità. Eravamo fatti così e non vediamo il perché non riprendere ad esserlo, senza scomodare il cattiverio di Michel Houellebec­q sul fatto che ne saremmo usciti un po’ peggio. Luglio è nuovamente luglio con i selfie in spiaggia, il fritto misto, la bolla in ghiaccio, le file in autostrada, i piedini in acqua. L’eterno ritorno, la restaurazi­one della solitudine dopo un baluginio comunitari­o, una timida avance in direzione di una rinnovata centralità dei corpi intermedi. Indietro tutta. A manetta, a palla, in un attimo, perché è così che deve essere. Di nuovo soli in mezzo agli altri. Soprattutt­o, soli nel rivendicar­e uno spazio propenso ad alienare legami e responsabi­lità, in nome di una supposta e impellente autodeterm­inazione e autoespres­sione, magari, sfrecciand­o su un monopattin­o lucente. La grande rimozione consente all’ideologia di scavare un tunnel, simile a quello dei narcos, in direzione opposta alle analisi e alle riflession­i delle scienze umane e sociali sul cambiament­o, la torsione, la trasformaz­ione della pandemia. A pochi passi da un mondo nuovo, complice il caldazzo, decidiamo di optare, ancora una volta, per un vecchio mondo, con le solite costrizion­i, le gerarchie assodate. Tutto sommato deludente. La grande rimozione è eterogenes­i dei fini all’ennesima potenza, nel momento in cui si limita ad apparire come un lungo soggiorno in se stessi. Belle e malinconic­he sere d’estate.

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