LA RIMOZIONE DEL COVID
La grande rimozione estiva del Covid19. Il caldazzo non si addice ai discorsi e alle riflessioni sulla pandemia. Una corsa irrefrenabile alla realtà precedente, incontrollabile, indomabile nel ripercorrere gli stessi passi. Speriamo vivamente non le stesse tappe…Da un paio di settimane siamo tornati a giocare, a carte scoperte, con il nostro individualismo e narcisismo. Ce la stiamo facendo di nuovo, davvero, davvero, impegnandoci nello staccare ogni pensiero dal virus che ha funestato la recente primavera. Sorrisi senza mascherine, ampie falcate dentro gruppi fitti, fitti abbiamo, di nuovo, l’occasione per dotte riflessioni ed elucubrazioni su cosa è stato e che cosa è restato di noi rispetto al Covid19. Era ora: la nostra soggettività e autoreferenzialità prima di tutto e di tutte e tutti.
Asenso unico, all’ombra confortevole e rinfrescante della rimozione, dell’oblio, del far finta di niente, nel dare da vedere che ci sono passaggi in grado d’illuminare un momento, una fase, mentre si è in fila davanti ad una piadineria stracolma, oppure, s’individua il momento opportuno per saltare il turno in gelateria. Beninteso: dopo essersi sanificati accuratamente le mani. Grazie ad un minimo livello d’attenzione è possibile udire il suono, comprenderne le connessioni e le interazioni di questa evidentissima grande rimozione. Anche restandone in superficie, ma c’è, fa luce e si fa largo sempre di più. A ben rifletterci, meno paradossale di ciò che intenda sembrare: il solito mix fra pigrizia culturale e profonda gelosia istituzionale del caro e vecchio armamentario narcisista. Il Covid non è mica scomparso, ma è come se lo fosse. Colpa o merito di una percezione, proiezione di una ritrovata volontà di sottrarsi ad un profondo bisogno (istinto?) di comunità. Eravamo fatti così e non vediamo il perché non riprendere ad esserlo, senza scomodare il cattiverio di Michel Houellebecq sul fatto che ne saremmo usciti un po’ peggio. Luglio è nuovamente luglio con i selfie in spiaggia, il fritto misto, la bolla in ghiaccio, le file in autostrada, i piedini in acqua. L’eterno ritorno, la restaurazione della solitudine dopo un baluginio comunitario, una timida avance in direzione di una rinnovata centralità dei corpi intermedi. Indietro tutta. A manetta, a palla, in un attimo, perché è così che deve essere. Di nuovo soli in mezzo agli altri. Soprattutto, soli nel rivendicare uno spazio propenso ad alienare legami e responsabilità, in nome di una supposta e impellente autodeterminazione e autoespressione, magari, sfrecciando su un monopattino lucente. La grande rimozione consente all’ideologia di scavare un tunnel, simile a quello dei narcos, in direzione opposta alle analisi e alle riflessioni delle scienze umane e sociali sul cambiamento, la torsione, la trasformazione della pandemia. A pochi passi da un mondo nuovo, complice il caldazzo, decidiamo di optare, ancora una volta, per un vecchio mondo, con le solite costrizioni, le gerarchie assodate. Tutto sommato deludente. La grande rimozione è eterogenesi dei fini all’ennesima potenza, nel momento in cui si limita ad apparire come un lungo soggiorno in se stessi. Belle e malinconiche sere d’estate.