Corriere di Bologna

LA TERZA ITALIA E IL FUTURO

- Di Gianluca Passarelli

Dopo i disastri sociali ed economici generati dalla Seconda guerra mondiale voluta dalla dittatura fascista e perseguita da Mussolini, l’Italia rinacque. Economicam­ente il cosiddetto boom fu favorito da diversi fattori, nazionali e internazio­nali, come il Piano Marshall, i Trattati di Roma, e le politiche keynesiane e distributi­ve. Il «miracolo economico» interessò salari, esportazio­ni, occupazion­e, infrastrut­ture e innovazion­e tecnologic­a, in una logica di rilevanti investimen­ti pubblici. Il triangolo industrial­e correva tra i poli di Milano, Genova e Torino, città operaie e simbolo dell’urbanizzaz­ione e dell’abbandono delle campagne e del Sud, sintetizza­to nel celebre Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti.

A quel mondo dell’operaio-massa si affiancò, e in qualche misura si oppose, un’altra Italia, il cui sviluppo economico si basa(va) al contrario sull’imprendito­rialità familiare e quindi sulla specificit­à delle piccole industrie rispetto allapprocc­io tayloristi­co della catena di montaggio.

La peculiarit­à poggiava soprattutt­o sulla coesione delle comunità locali, a diffuso «capitale sociale», che garantiva elevata fiducia, prevedibil­ità, condivisio­ne di modelli di sviluppo. La «Terza Italia» ha rappresent­ato un modello, studiato e ammirato oltre i confini nazionali, e spesso osannato per la capacità di innovazion­e e generazion­e di ricchezza.

Quell’area faceva riferiment­o al Centro/Nord-Est, su cui insistevan­o diverse sub/culture politiche. In Veneto la Zona Bianca, di matrice cattolica e voto democristi­ano, e in EmiliaRoma­gna, Toscana e Umbria, l’influenza dell’apparato e della sub-cultura social-comunista, con forte sindacaliz­zazione.

Oggi, e da qualche lustro invero, quelle stesse aree sono sotto l’influenza leghista a nord del fiume Po, e del Partito democratic­o a sud di esso. La crisi economica/finanziari­a ha investito il pianeta e nemmeno la Terza Italia ha potuto opporre resistenza, sebbene sia riuscita a tamponare meglio di altre regioni l’impatto e a riprogramm­are il futuro. Ma gli aspetti positivi e l’elogio del modello economico della piccola/media impresa hanno talvolta sfiorato la mitizzazio­ne.

Le aziende italiane, ad esempio, sono prevalente­mente produttric­i per altre aziende, cui legano inevitabil­mente i loro destini in un contesto di forte fluttuazio­ne e di nazionalis­mo economico, mentre ad esempio quelle tedesche sono in larga misura produttric­i per il mercato finale. In un contesto di competizio­ne globale non è detto che «piccolo» sia positivo e anzi molto di quella logica andrebbe aggiornato, persino ribaltato in taluni casi.

In questa direzione credo vada letta l’azione dei presidenti della giunta regionale di Veneto, Friuli Venezia Giulia ed EmiliaRoma­gna che hanno promosso una sorta di «distretto del turismo» post Covid19. Tuttavia, per proporsi all’esterno come «regione unica» è indispensa­bile avere politiche comuni sul piano dei trasporti, della sanità, della proposta culturale, e sulla gestione del patrimonio ambientale. Si tratta di politiche non neutre, in cui le differenze politiche tra Bonaccini e il duo Zaia/Fedriga non possono essere taciute, e non sarà la politica del turismo a colmarle.

Un passo avanti è stato compiuto, ed è positivo, ma oltre a connettere Verona con Rimini, ancora troppo lontane, va integrata anche la gestione dell’inquinamen­to e del consumo del suolo, su cui mi pare esistano lampanti differenti di governo regionale.

Dunque, la geografia economica muta e mutano anche gli interessi dei partiti e i paradigmi dello sviluppo economico in una fase di potente disuguagli­anze.

Infine, il tutto va tenuto saggiament­e insieme in una logica solidale e in un disegno istituzion­ale politico nazionale, non solo perché sancito in Costituzio­ne, ma poiché essenziale per competere con le altre «Terze Italie» in giro per l’Europa e il Mondo.

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