«Io, Lucio, Sanremo» Parola di Bartoletti
Il Festival, il suo compleanno e i 50 anni di 4 marzo 1973 Bartoletti: «Ma Bologna deve ricordare Dalla di più»
«Vorrei un Festival il più possibile “dallizzato”». Si conobbero perché la sua incoscienza di giovane giornalista lo spinsero a chiedere al cantante — che era già un personaggio — di scrivere per il giornale Pressing un pezzo d’autore sullo sport e il cantante scelse il basket: «Nel suo stile inconfondibile, scrisse che la pallacanestro con lui aveva perso uno dei suoi protagonisti. E che solo un destino ingrato gli aveva fatto optare per l’arte quando il suo destino era il basket. La scintilla tra noi scattò subito e non ci siamo più lasciati». Marino Bartoletti è uomo di sport ma è anche uomo di “canzonette” e conoscitore enciclopedico del Festival di Sanremo. Ed è inevitabile, nell’anno in cui, come dice lui, dopo tanti anni, «il
Festival abbraccia il compleanno di Lucio Dalla», parlare del cantante che il 4 marzo avrebbe compiuto 78 anni. Nel suo ultimo libro, La cena degli dei (Gallucci), Dalla è “il folletto che sprizza simpatia e non avrei saputo immaginare quella cena senza di lui, dove lui è seduto tra Senna e Nuvolari, cui ha dedicato due delle sue più belle canzoni».
Bartoletti, Dalla e Sanremo. Da dove cominciamo?
«Da 4/3/1943. Quest’anno ricorrono i 50 anni di questa splendida canzone, che fu presentata al Festival nel 1971. Lui ha sempre detto che Sanremo si giudica dai podi e quello del ’71 parla da solo: primo Il cuore è uno zingaro di Nicola Di Bari, secondo Che sarà dei Ricchi e Poveri, e al terzo Dalla. È una data miliare nella storia del Festival: vorrei che Sanremo si ricordasse di lui, me lo auguro e me lo aspetto. So che Ermal Meta canterà Caruso».
Si fa abbastanza per ricordarlo?
«Sono stati ripubblicati tutti i suoi album, la fondazione a lui dedicata, su cui ci sarebbe tanto da dire, so che tiene in vita la sua figura. Dovrebbe essere ricordato non solo di più, ma dovrebbe essere messo nell’Olimpo della storia della musica italiana. Almeno che Sanremo si ricordi di lui
come si deve».
La sua ultima apparizione a Sanremo è l’anno della morte.
«Lo chiamò l’amico Gianni Morandi, lui disse: “Non canto, ma dirigo l’orchestra”. E così andò sul podio a dirigere per Pierdavide Carone. Ricordo che pranzammo insieme sul lungomare di Sanremo. Ricordo il pesce, l’allegria di quel pranzo, ma anche, a ripensarci, un po’ di malinconia nel vedere il suo passo stanco. È un ricordo che porterò sempre nel cuore».
La sua originalità era solo sua o era anche figlia di tempi pieni di fermenti?
«Direi che era sua, ma si esprime in anni fertili. Esordisce 55 anni fa proprio a Sanremo con Pafff... bum!: aveva 23 anni anche se ce lo immaginiamo sempre vecchio. Era trasgressivo nella sua normalità. L’anno dopo torna con Bisogna saper perdere, canzone dall’alto contenuto metaforico. E poi nel ’71 la consacrazione, nel ’72 Piazza Grande».
Ci fu Lucio Dalla a Sanremo anche nel 2016…
«Gli Stadio cominciarono a vincere il Festival quando duettarono idealmente anche con Lucio. Fu la serata dei miracoli per loro, perché riunirono gli Stadio e grazie a Lucio il vento girò per loro. Lucio fece il miracolo».
Quando dice che ci sarebbe molto da dire sulla fondazione che intende?
«A Bologna vorremmo che Lucio fosse ricordato in ogni momento. Il mio è l’appello di un amico appassionato che ogni giorno vorrebbe vedere la città riempirsi di Dalla».
Vede qualche erede all’orizzonte?
«No, è stato un esemplare irripetibile. Vedo però la possibilità di studiarlo di più»
Andrà a Sanremo?
«No, seguirò il Festival dalla Rai a Roma. Mi mancherà tantissimo: mi mancherà l’Ariston, in quel teatro dove fui a cinque metri da lui mentre dirigeva nel 2012».