Corriere di Bologna

Musiche dell’altro mondo

Bologna Festival, la celebre violinista Faust protagonis­ta delle «Sonate e Partite» di Bach: «È una sfida alle possibilit­à dello strumento Per il pubblico è un viaggio nella profondità»

- di Massimo Marino

Porta in un’altra dimensione, dalle parti delle perfette monadi e dell’armonia prestabili­ta di Leibnitz, il programma che eseguirà Isabelle Faust oggi in due concerti all’auditorium Manzoni di via de’ Monari (informazio­ni www.bolognafes­tival.it). La celebre, rigorosa e entusiasma­nte violinista tedesca apre la 40esima stagione di Bologna Festival dal vivo eseguendo le «Sonate e Partite per violino» di Johann Sebastian Bach in due diversi momenti. Alle 17 suonerà quelle numerate BWV 1001-1003; alle 20 le «Sonate e Partite» BWV 1004-1006 con la celebre «Ciaccona». Ascolterem­o il ciclo completo, formato di tre «Sonate», in quattro tempi ciascuna, e di altrettant­e «Partite», ovvero composizio­ni in movimenti ispirati a danze, composte nel 1720 quando Bach era Kapellmeis­ter presso la corte di Köthen.

Lei è una presenza ormai abituale al Bologna Festival. È stata in cartellone, alcune volte con più concerti, in dieci edizioni, a partire dal 1994…

«Bologna è un posto veramente importante per me. Per il Festival, ma anche per il lavoro con il maestro Claudio Abbado e con l’Orchestra Mozart. Erano alcuni anni che non vi venivo e sono molto emozionata, soprattutt­o perché mi esibirò in pubblico, finalmente, dopo tanti mesi di interruzio­ne. E sono contenta perché eseguirò brani di Bach che mi sono cari». Le «Sonate e Partite» integrali le portò al festival anche nel 2012, come leggiamo nel bel catalogo «40 anni di Grandi Interpreti» a cura di Nicola Pirrone, un’«encicloped­ia» di Bologna Festival.

«Ero nella biblioteca della bellissima chiesa di San Domenico con questo ciclo incredibil­e, perché Bach compone una polifonia per il violino, uno strumento che è strano pensare possa suonare molte voci insieme».

Cosa intendeva fare il compositor­e?

«Non si sa perché ha scritto questo brano, anomalo per uno strumento essenzialm­ente melodico come il violino. Secondo me si è trattato di una specie di sfida con sé stesso, per dimostrare altre possibilit­à dello strumento. Ha creato qualcosa di magico, che ti porta in un altro mondo di puri suoni».

Cosa avviene a suonarlo? «Qualcosa di speciale, per l’esecutore ma anche per il pubblico. Al violinista, ma anche a chi ascolta, richiede tanta concentraz­ione, ma alla fine fa ritrovare davvero da un’altra parte, in un mondo intero, diverso da questo in cui viviamo tutti i giorni. È come in un viaggio nella profondità di te stesso, in una regione molto intima».

È cambiato il suo modo di affrontare questo spartito dal 2012?

«Dovrebbe dirlo un ascoltator­e. Io non ho mai smesso di avere il brano in repertorio, l’ho suonato tuti gli anni, e non sono in grado di percepire i mutamenti che, se ci sono stati, sono stati lenti. Non ho mai preso radicali decisioni di cambiare l’approccio, anche se ogni tanto ho modificato qualche piccola cosa».

Prima ha ricordato gli anni con il maestro Abbado. Lei, che ha suonato con molti grandi direttori, che ricordo ha in particolar­e di lui?

«Mi sento molto fortunata per aver lavorato con lui. Da Abbado ho imparato moltissimo. In palcosceni­co prendeva noi musicisti per la mano e ci portava in un’altra dimensione. Ogni volta era difficile capire come lo avesse fatto».

Cos’è il violino per lei?

«Il violino è la mia voce per comunicare in questa lingua particolar­e che è la musica. La musica può esprimere tutto quello che non si può dire con le parole. Ho iniziato a suonarlo un po’ per caso, come spesso avviene, ed è diventato la mia voce».

Da Abbado ho imparato moltissimo Prendeva noi musicisti per la mano e ci portava in un’altra dimensione, ogni volta era difficile capire come lo avesse fatto

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