Una guida per capire le fonti dedicata a chi ama la storia
Il lavoro di Antonelli mira a consolidare metodologie e pensiero critico umanistico, un valore da riscoprire e sostenere
In un mondo che sta bombardando da più parti la cultura umanistica, privandola del proprio valore portante, schiacciandola sotto il peso della speculazione, dell’utilitarismo e della barbarie del cancel a ogni costo, deriva revisionista che sta prosciugando l’insegnamento negli Stati Uniti, c’è ancora chi crede nell’importanza della ricerca, del tempo speso nella lettura critica, nell’interrogazione onesta delle fonti e nel peso che un buon impianto culturale possa avere nella formazione umana.
Intersezioni fra cultura dei laici e società comunale, scritto da Armando Antonelli per
Giorgio Pozzi editore, è un tentativo, riuscito, di coagulare una selezione del lavoro di ricerca negli archivi con i precetti — che divengono sostegno allo studio — destinati a orientare l’opera di formazione di chi, per studio, per professione o per passione, vuole avvicinarsi a materie come la storia, l’archivistica, la paleografia e la diplomatica. Un manuale d’uso, un libretto di istruzioni, basato però su casi concreti, in grado di fornire al lettore non solo le regole e le ispirazioni metodologiche, ma pure la visione «reale» delle difficoltà, come pure delle soddisfazioni, incontrate negli anni di ricerca sui documenti d’archivio. «Avviamento allo studio della critica delle fonti» è il sottotitolo perfetto per questo volumetto, ben organizzato, corredato da fotografie che illustrano i materiali di studio accompagnando il testo al fine di renderlo più comprensibile. Un testo, certo, destinato a studiosi o studenti, ma in grado di stimolare la curiosità anche di chi — se sono tanti — frequenta per diletto convegni, incontri e i sempre più numerosi festival dedicati alla materia.
Il lavoro di Antonelli, come lo stesso autore afferma nell’introduzione, è aperto ma al tempo stesso rigido nel definire una categoria scientifica e un modello di pensiero. Non strizza quindi l’occhio all’idea di «opinioni in libertà», né al «tutti possono parlare di tutto» che tanto andava — o ancora va? — di moda prima della pandemia. «Direi — scrive Antonelli — che sarebbe quanto mai opportuno recuperare una sana fiducia nel progresso e nel metodo connaturato alle discipline umanistiche, quello cioè che insiste sulla ricerca della verità e su una vecchia alleanza con il pensiero filosofico, oggi sostituito da quello informatico e posto in una posizione al tal punto subordinata da coniare un sintagma ossimorico, espresso naturalmente in lingua inglese, quale digital-humanities». Ripartiamo, insomma, dall’italianissimo e sano umanesimo.