Corriere di Bologna

Il nuovo Mereghetti «Bologna è cinema»

Martedì la presentazi­one con Menarini dell’edizione del trentennal­e del «Dizionario dei film» Il critico del Corriere: «Regione viva, grazie alla Cineteca»

- Di Sara D’Ascenzo

Èun figlio che nasce ogni due anni. Il più vecchio, quasi smilzo, un solo, preziosiss­imo volume, ha da poco compiuto trent’anni. Il più giovane, tre volumi con cofanetto per un totale di 9.920 pagine sempre e solo rigorosame­nte di carta, 35mila schede, 70 euro, è da qualche giorno in libreria sempre per Baldini+Castoldi. Addosso ancora quel profumo di nuovo, Il dizionario dei film del critico del Corriere della Sera Paolo Mereghetti, Il Mereghetti, come si usa da sempre per i dizionari, è un oggetto di culto, capace di monopolizz­are serate alla ricerca di quante stelle ha quel film che ci era piaciuto tanto e non arriva a tre (c’è anche il mezzo) o di attirarci mentre dovremmo fare tutt’altro, alla scoperta dei primi lavori dei registi preferiti, i riassunti delle saghe, i film mai sentiti che ci chiamano come una sirena.

Nell’edizione del trentennal­e Mereghetti e la sua squadra dodici persone che ogni due anni, per alcuni mesi, vivono una realtà distopica fatta solo di visioni, stelle e schede hanno recuperato tantissimi vecchi film, riscrivend­o da capo le schede che li riguardano e riempiendo le possibili mancanze delle filmografi­e. Dai primissimi film agli ultimi, aggiornati ai primi di settembre 2022. Il critico lo presenterà martedì 6 alle 20 al Cinema Lumière col critico Roy Menarini e a seguire ci sarà la proiezione del restauro di Singin’ in the Rain ,che festeggia i 70 anni trascorsi da quel 1952 in cui vide la luce grazie al genio di Stanley Donen e Gene Kelly. Uno dei film che Mereghetti vede e rivede periodicam­ente.

Mereghetti, in trent’anni sono cambiati il cinema, il pubblico. Le sale soffrono.

«È cambiato tutto. E anche l’ambizione di questo dizionario è cambiata e cresciuta. Trent’anni fa voleva essere sempliceme­nte una guida all’invasione dei film che uscivano sulle tv private. Poi pian piano ha avuto successo, non solo perché si è sempre ingigantit­o, ma perché a guidarmi è stato l’amore per la storia del

Pupi Avati

cinema. Sappiamo benissimo che Kurosawa ha fatto I sette samurai e Rashomon. E poi? Abbiamo cercato di realizzare un’opera che ormai ha superato i confini che s’era posta».

Ha senso, visto che il cinema è così in sofferenza?

«Spero è che questo sia un compagno per entrare all’interno della storia del cinema fin dai suoi albori. Ci sono tutti i corti di Chaplin, abbiamo aggiunto tutti quelli di Max Linder. Vuole essere una guida, spero affidabile, non solo per tutti i film che si vedono sulle piattaform­e o al cinema, ma anche per quelli che hanno fatto la storia della Settima Arte».

Ma i ragazzi ce li vede a sfogliare il dizionario? Su Internet c’è tutto...

«Intanto non sono così sicuro che su Internet ci sia tutto. Le informazio­ni sono approssima­tive. E poi i ragazzi mi fermano per chiedermi i selfie, ahimè, ma anche per ringraziar­mi di aver imparato tanto dal dizionario. Certo, finora è sempre stato di carta, perché la carta ti fa nascere tante curiosità. Per le prossime edizioni dovremo pensare a qualcosa di diverso. Abbiamo seguito mano nella mano i cambiament­i che ci sono stati in questi trent’anni. La nostra bussola è sempre stata la qualità cinematogr­afica. Probabilme­nte bisognerà ripensare al rapporto tra streaming e sala, anche se resto convinto che i film vadano visti in sala, almeno quelli importanti. Non ho neanche paura del confronto con l’online: lì il discorso critico non c’è».

Bologna ha imboccato un filone produttivo. Penso ai Diabolik dei Manetti Bros.

«Dal punto di vista cinematogr­afico l’Emilia-Romagna è particolar­mente viva. La Cineteca di Bologna e il Festival del Cinema Ritrovato sono ormai dei fari mondiali. E sull’abbrivio di questa esperienza, Beppe Caschetto che produce a Bologna, il concorso di Cesena sulla fotografia di scena, il museo Fellini di Rimini e la Film Commission regionale, contribuis­cono a fare di questa regione un punto di riferiment­o. Per cui capisco che chi deve costruire film che non contemplin­o il mare blu si appoggi a queste strutture».

I ragazzi mi chiedono i selfie e mi ringrazian­o perché dalle schede si impara

I film più belli di Pupi Avati?

I suoi lavori più belli? «Il papà di Giovanna» e «La casa dalle finestre che ridono»

«Il papà di Giovanna con Silvio Soldini e La casa dalle finestre che ridono con Lino Capolicchi­o e Gianni Cavina. Bellissimo».

 ?? ??
 ?? ??
 ?? ?? Visioni
Nella foto grande una scena di «La casa dalle finestre che ridono» di Pupi Avati, 1976. Nelle foto piccole dall’alto «Singin’ in the Rain», 1952, che martedì si vedrà al Lumière dopo la presentazi­one del nuovo «Dizionario dei film» di Paolo Mereghetti (nella foto)
Visioni Nella foto grande una scena di «La casa dalle finestre che ridono» di Pupi Avati, 1976. Nelle foto piccole dall’alto «Singin’ in the Rain», 1952, che martedì si vedrà al Lumière dopo la presentazi­one del nuovo «Dizionario dei film» di Paolo Mereghetti (nella foto)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy