L’universo di Günday
Lo scrittore turco in città presenta il romanzo «Zamir»: messaggi di pace e di vita, per riconciliare una volta per tutte Oriente e Occidente
Era già stato a Bologna nel 2016, in Salaborsa, per presentare uno dei suoi romanzi più noti, Ancòra, che raccontava dall’interno il volto moderno della schiavitù attraverso il viaggio di un bimbo cresciuto senza madre tra trafficanti di uomini. Oggi il 46enne scrittore turco Hakan Günday, figlio di diplomatici e nato a Rodi, torna in città per presentare il suo nuovo libro, Zamir, sempre edito da Marcos y Marcos. Sangue turco e sguardo europeo, recita la biografia di Günday, che sul suo sito personale ha inserito l’iscrizione «Ogni ora che passa ti ferisce, l’ultima ti uccide». Dopo tanto vagare al seguito della famiglia, lo scrittore si è fermato a Istanbul dove ha scritto i suoi romanzi, compreso nel 2011 il fulminante A con Zeta tradotto in 19 lingue, e la serie televisiva La famiglia Uysal, distribuita da Netflix.
Günday sarà oggi alle 18.30 alle Serre dei Giardini Margherita, in collaborazione con La confraternita dell’uva e in dialogo con Antar Mohamed Marincola. Con letture di passi dal libro a cura di Cantieri Meticci e a seguire mercatino di Mediterranea Bologna. In serata, alle 21, si sposterà alla Libreria Biblion di Granarolo dell’Emilia, presentato da Margherita Carlotti.
Il romanzo di Günday è ambientato in un campo profughi tra la Siria e la Turchia, dove c’è anche una ruota per far giocare i bambini. Anche per questo Zerre, madre di appena 15 anni, vi fa entrare di nascosto il figlio appena nato, Zamir. Il giorno dopo nel campo profughi esplode una bomba, che deformerà il volto a Zamir. Salvato da un chirurgo, il piccolo resta solo al mondo e con il volto sfigurato. Allevato dalla All for All, organizzazione umanitaria internazionale, diventerà un bambino simbolo, utile anche per raccogliere fondi. Dietro la facciata, Zamir scoprirà corruzione e traffici. Ma non si fermerà, perché «lui sa per cosa soffre. Per cosa piangerebbe, se la sua faccia artificiale glielo consentisse. Troppo sangue macchia la terra. Bisogna fermare la guerra, fermare i massacri». Entrato nella Fondazione per la Prima pace mondiale, ovunque stia per scoppiare un conflitto armato Zamir arriverà per incontrare ministri, dittatori o terroristi. Per costringerli a trattare, userà ogni mezzo senza fermarsi di fronte a nulla. La pace prima di tutto, a ogni costo.
Günday continua così a indagare gli incroci tra Oriente e Occidente, convinto che una riconciliazione tra questi due mondi, indispensabile, possa e debba passare proprio per una Turchia capace anch’essa di fare pace con le sue troppe contraddizioni. Da qualche anno lo scrittore che scrive romanzi «per cercare di tenere gli occhi aperti in un mondo che vuole addormentarmi», è tornato a vivere a Istanbul, città sottoposta a un’urbanizzazione sfrenata. Günday non ha mai rinunciato a far sentire la sua voce, spesso criticando il proprio Paese, dove «la percezione della realtà può venire modificata». Forse per questo è molto amato dai suoi connazionali più giovani, anche per la sua capacità di creare personaggi molto scomodi. Come Zamir, salvato da quelle organizzazioni umanitarie per le quali lavorerà da adulto, muovendosi per sviluppare processi di pace all’interno di un mondo dove i confini tra bene e male non sono così netti come potrebbero apparire. Perché, ha ribadito lo scrittore, «la pace prima di tutto, che Zamir porta avanti, non può funzionare come soluzione se non si lavora sui motivi che scatenano le guerre e che possono sempre ripresentarsi se non vengono risolti alla radice».