Corriere di Bologna

Eterno Simenon

La bolognese Mambrini ha tradotto «La prigione», Adelphi Romanzi per altri vent’anni. La studiosa: «Qualcuno parla di un “non stile”, ma in realtà lavora a togliere»

- Di Massimo Marino

Gli appassiona­ti possono stare tranquilli per venti anni. Rimangono una quarantina di romans dur di Georges Simenon da pubblicare in Italia, alcuni dei quali finora inediti da noi. Adelphi ha iniziato nel 1985 a mandare in libreria, al ritmo di circa due all’anno, i «non-Maigret», mentre dal 1993 ha pubblicato anche i romanzi con il famoso commissari­o. Da allora la casa editrice ha dato alle stampe 174 titoli, tra romanzi e raccolte di racconti (di cui 81 Maigret), una parte soltanto delle circa 450 opere scritte dal genio belga. La Cineteca di Bologna da tempo sta lavorando ad acquisire dal figlio dello scrittore, John, una parte dell’archivio del padre, ma l’operazione ha subito alcuni rallentame­nti. Da qualche giorno, intanto, è arrivata sugli scaffali La prigione, una storia scritta nel 1967, uno squarcio dolente sulla superficia­lità del bel mondo e sulla solitudine di chi vive una vita tutta esteriore. Ne parla Simona Mambrini, traduttric­e di questo e di altri sette romanzi dell’autore belga. «Vivo a Bologna da 35 anni - esordisce Mambrini -. Sono arrivata qui perché volevo conoscere Francesco Guccini, e ce l’ho fatta. Mi sono innamorata della città e sono contenta di viverci. Traduco dal francese e dall’inglese».

Ci racconta «La prigione»?

«È un romanzo molto cinematogr­afico. Inizia sotto la pioggia battente, con una macchina che percorre le strade di Parigi. Alain Poitaud trova ad aspettarlo a casa un agente di polizia che, senza spiegargli nulla, lo invita a seguirlo in commissari­ato. Là sappiamo di un delitto e inizia per Alain una discesa agli inferi».

Chi è il protagonis­ta?

«È un uomo arrivato, che ha fondato una rivista di successo, “Toi”, “Tu”. Ha una bella casa in città e una in campagna; la moglie, che soprannomi­na Micetta, lo segue dappertutt­o. Ha mille amanti. È abbastanza superficia­le: circondato da conoscenti e dipendenti, non conosce per nome nessuno, chiama tutti “cocco” o “cocca”, “bello mio” o “bella mia”. In francese è “lapin”, conigliett­o: io ho cercato un equivalent­e italiano. Ha sempre bisogno di un pubblico davanti al quale mettersi in scena, ma è molto solo. Beve come una spugna».

Perché il delitto lo riguarda?

«La moglie ha ucciso la propria sorella, che fino a un anno prima è stata l’amante di Alain. La donna si rifiuta di parlare con la polizia, con il giudice, con lui. E questa situazione scatena quello che Simenon chiama il “clic”, l’avveniment­o imprevisto, inaudito, che smuove le cose, in una storia piena di dialoghi, che definiscon­o i personaggi e confermano l’idea di trovarci davanti a un andamento da copione cinematogr­afico».

Cosa ci dice del modo di scrivere di Simenon?

«Si è parlato di “non stile”, ma in realtà si tratta di uno stile precisissi­mo, tutto lavorato in levare. Simenon ha una precisione maniacale nell’uso di aggettivi e sostantivi; soppesa le sfumature. Parlava di “parole concrete”. Voleva descrivere la realtà, quello che chiamava “l’uomo nudo”, in modo piano, semplice, rifuggendo dagli orpelli letterari. Ripeteva: quando mi viene una frase troppo bella, la cancello».

Lo scrittore impiegava non più di 13 giorni per scrivere un romanzo. Quanto ci mette lei per tradurlo?

«Ci vuole di più, un paio di mesi. Faccio una prima stesura, poi scavo a fondo nelle parole, nelle frasi, per fare tornare tutto, soprattutt­o il ritmo. La versione automatica o quella dell’Intelligen­za Artificial­e per Simenon non andrebbe bene. La traduzione è una lettura approfondi­ta, per capire come rendere l’opera al meglio. Poi in Adelphi c’è un egregio lavoro di revisione, soprattutt­o da parte di Ena Marchi, che controlla il lavoro dei diversi traduttori e fa sì che tutto torni».

Perché questi romanzi vengono definiti «duri»?

«Lui diceva che in questi, rispetto ai Maigret, c’è uno scavo maggiore, un approfondi­mento psicologic­o dei personaggi, portati all’estremo. Sono drammi familiari, storie di gelosie feroci, mondi che crollano all’improvviso…».

Quale titolo consiglier­ebbe a un lettore che volesse avvicinars­i allo scrittore?

«Forse Il fantasma del cappellaio, bellissimo. Ne è stato tratto anche un film».

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Il romanzo di Simenon comincia a Parigi in un giorno di pioggia. Il protagonis­ta, un giornalist­a di successo con mille amanti, torna a casa e trova ad aspettarlo un agente di polizia che lo invita a seguirlo in commissari­ato
Pioggia Il romanzo di Simenon comincia a Parigi in un giorno di pioggia. Il protagonis­ta, un giornalist­a di successo con mille amanti, torna a casa e trova ad aspettarlo un agente di polizia che lo invita a seguirlo in commissari­ato
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La traduttric­e Simona Mambrini, che ha tradotto otto romanzi di Simenon
Intuizioni La traduttric­e Simona Mambrini, che ha tradotto otto romanzi di Simenon

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