Corriere di Bologna

La carta del disturbo mentale e i test «simulati» con i periti Poi l’appello finale ai giudici

L’ex calciatore, le voci e il verdetto degli psichiatri

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Un ultimo appello rivolto alla Corte, con la voce incrinata e le parole strascicat­e. Giovanni Padovani ha provato, di nuovo, a far passare la tesi del disturbo mentale, di qualcosa che in quell’agosto del 2022 si è inceppato nella sua testa. «Se ritenete che un uomo che ammazza una donna con quella ferocia sia una cosa normale, e non anormale di uno che aveva e ha dei disturbi, allora non chiedo l’ergastolo, ma lo pretendo». Gli psicologi del carcere, solo sulla base di osservazio­ni e colloqui parziali, avevano parlato di un delirio schizoide.

I giudici non gli hanno creduto, come era lecito aspettarsi. Del resto non gli avevano creduto per primi gli specialist­i che su richiesta della sua difesa e su incarico della Corte avevano indagato la sua mente dopo mesi passati in carcere tra presunti tentativi di suicidio e atti di autolesion­ismo. C’è di più. I periti non solo hanno concluso per la sua capacità d’intendere e volere quando ha massacrato Alessandra a calci e pugni, colpendola perfino con una panchina divelta dal cortile. Hanno certificat­o i suoi tentativi di simulare un grave disturbo psicotico-delirante, l’unica via d’uscita rispetto a un epilogo scontato.

Delle presunte voci che avrebbero guidato la sua ferocia, hanno scritto i periti, non ne aveva mai fatto parola: né dopo l’omicidio né negli interrogat­ori successivi. Sono comparse nel suo racconto solo il 12 giugno 2023, durante il primo incontro con i periti psichiatri­ci. Ed è solo nel secondo colloquio, il 30 giugno, che le voci diventaron­o detonatore e movente: «Mi rimbombava­no nella testa e mi dicevano: `Aggredisci! Non capisci che è una trappola! Prendi il martello! Come se mi gridassero venti persone».

Fin dall’inizio l’accusa e le parti civili hanno insistito sullo stesso tasto, del resto il processo si giocava lì: è sempre stato lucido, determinat­o verso il suo obiettivo: cancellare Alessandra, la sua bellezza, non solo ucciderla. Perché da quando lei lo aveva lasciato per lui era solo un oggetto. Non una tempesta emotiva, dunque, come evocato dalla sua difesa e come troppo spesso si continua a incasellar­e la ferocia degli uomini incapaci di accettare la fine di una relazione, l’autonomia e la libertà di compagne e mogli che vogliono solo riprenders­i la loro vita. Ma un sentimento di possesso, di dominio assoluto.

Durante il processo, Padovani è stato a lungo assente. Si è presentato in aulla alle ultime udienze. Con la barba e i capelli lunghi, lo sguardo perso, i tatuaggi scoperti sotto una maglietta smanicata. Poi via via è sembrata un’altra persona: i capelli corti e la barba curata, una giacca scura, pur se sotto l’effetto degli psicofarma­ci. E, per la prima volta, forse, con la consapevol­ezza di ciò che ha fatto.

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Perso Padovani in una udienza

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