Corriere di Bologna

«Nessuno sia lasciato mai solo con il suo dolore»

Valenti (Ausl): «Le cure palliative riducono le richieste di fine vita, ma non le annullano»

- Marina Amaduzzi marina.amaduzzi@rcs.it

«Nessuno deve essere lasciato da solo in qualunque esperienza di sofferenza nella vita e nella malattia e nelle scelte che, purtroppo, nella malattia, deve affrontare». È un concetto che ripete più volte l’oncologa Danila Valenti, direttrice del dipartimen­to dell’Integrazio­ne e dell’unità operativa Rete delle cure palliative dell’Ausl.

E un secondo concetto a cui tiene tantissimo è che «non bisogna confondere le cure palliative con il suicidio assistito e il fine vita, perché le persone rischiano così di avere paura delle cure palliative e di non volerle per sé o per il padre o per la madre o per il figlio che sta male lasciandol­o così non solo con dolori e sofpalliat­ive ferenze fisiche e psicologic­he gravi che potrebbero essere molto bene controllat­e, ma anche senza quel supporto, quell’aiuto spirituale ed esistenzia­le che nelle malattie importanti è fondamenta­le». C'è infine un terzo concetto che Valenti sottolinea più e più volte: «Una sanità pubblica e universali­stica è un requisito fondamenta­le per la libertà di scelta delle persone malate. Finanziare la sanità pubblica è un grande strumento per evitare scelte obbligate da povertà sociali. Attraverso le tasse che io pago per la sanità pubblica, garantisco la tua libertà di scelta nella malattia».

Dunque cosa sono le cure palliative? «Curano le persone con malattie gravi, garantendo il controllo della sofferenza fisica in tutte le fasi della vita e anche nel fine vita — spiega —. Le cure palliative riducono moltissimo le richieste di suicidio assistito, ma non le annullano». Non ci sono casi di pazienti che abbiano inoltrato una richieste di fine vita all’Ausl, non di recente almeno. Valenti tuttavia ricorda il caso di un paziente malato di Sla che di fronte alla prospettiv­a di subire la tracheotom­ia per respirare e di avere un sondino naso-gastrico per nutrirsi nel 2015 si era rivolto a un’associazio­ne svizzera che gli potesse garantire il suicidio assistito indolore. La psicologa che lo seguiva lo indirizzò al servizio di cure dell’Ausl. «Lo abbiamo preso in carico — ricorda — e seguito per mesi, curato per la fatica respirator­ia, il dolore fisico, l’insonnia, il dolore mentale di vedere che non camminava più da solo, che non riusciva con sempre più fatica a deglutire. È passata la paura che venissero fatte terapie che non voleva e sapeva che quando avrebbe avuto una crisi di “fame d’aria” non risolvibil­e, noi gli avremmo garantito la sedazione palliativa, una sorta di anestesia profonda, fino alla fine. Abbiamo rispettato ogni sua decisione, fino in fondo».

Le cure palliative per qualcuno possono non bastare. «Se la richiesta di suicidio assistito rimane ferma dopo che tutto il possibile è stato messo in campo, non possiamo lasciare sola la persona nella sua sofferenza — conclude Valenti —. La cosa importante è non lasciare, mai, solo nessuno con le sue paure, il suo dolore, la sua sofferenza. In nessun caso. La cosa importante, è che la sanità sia presente ad aiutare la persona in tutte le fasi della vita e della malattia, affinché la scelta della persona possa essere veramente libera, senza alcun condiziona­mento economico, perché la società ti da il diritto a vivere la malattia con la garanzia di assenza di dolore e sofferenza».

Libertà di scelta Solo una sanità pubblica e universali­stica garantisce la libertà di scelta nella malattia

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