«Dove ci sono cure palliative eutanasia e suicidio assistito sono molto meno richiesti»
È uno dei risultati dello studio di Asher Colombo su 13 Paesi che hanno introdotto per legge queste pratiche
«Dove vengono messe in atto le cure palliative, il ricorso al suicidio assistito o all’eutanasia cala drasticamente. Si ricorre a questa pratica per non soffrire: se si toglie il dolore, la richiesta si riduce di 10 volte». È una delle conclusioni più importanti a cui giunge lo studio «Data and trends in assisted suicide and euthanasia, and some related demographic issues», a cui hanno lavorato i professori Asher Colombo, ordinario di Sociologia dell’Alma Mater, e Gianpiero Dalla Zuanna, ordinario di Demografia all’Ateneo di Padova, pubblicato su Population and Development Review.
Professor Colombo, che tipo di studio è stato il vostro?
«Il nostro è stato un tentativo di fare una ricognizione su andamento, caratteristiche, dimensioni del suicidio assistito e dell’eutanasia nei molti Paesi in cui queste pratiche sono state introdotte legalmente. I nostri risultati sono relativi a 13 Paesi, di cui 8 in Europa».
Si tratta quindi di Stati dove esiste una legge su queste pratiche?
«Esattamente. L’andamento di queste pratiche è fortemente influenzato dal tipo di legislazione introdotta».
Vale a dire?
«Nei Paesi dove l’eutanasia e il suicido assistito sono considerati esercizi della libertà del singolo che può decidere quello che vuole, e penso a Olanda, Belgio, Svizzera, le richieste sono più alte. Dove invece il ricorso a queste pratiche è condizionato a criteri stringenti le domande sono 10 volte inferiori. Questa differenza non dipende dalla durata nel tempo dell’introduzione di queste norme: in Oregon, che ha una legge dal 1998, i decessi per suicidio assistiti sono 7 ogni mille, in Svizzera, che ha la legge dal ‘98, è a quota 17 ogni mille, l’Olanda, che ha legiferato nel 2022 è a 46 su mille, il Canada, che ha legiferato 8 anni fa è 31 su mille».
La strada scelta dalla no
stra Corte costituzionale che fissa criteri molto stringenti farebbe rientrare l’Italia nel secondo gruppo quindi.
«Nel caso italiano di depenalizzazione del reato la Corte ha introdotto criteri rigidi e il dover presentare al paziente e ai famigliari il sistema di cure palliative: il nostro Paese si avvicinerebbe al secondo modello».
A quali altre conclusioni siete arrivati?
«Le motivazioni che stanno dietro al suicidio medicalmente assistito sono totalmente diverse da quelle del suicidio diciamo tradizionale. Nei Paesi dove il suicidio assistito è un esercizio della libertà del singolo non c’è stato un calo dei suicidi non assistiti. Inoltre il suicidio tradizionale è molto più diffuso tra gli uomini che tra le donne, mentre in quello assistito queste differenze scompaiono. Sono proprio due cose diverse».
Quanto contano le cure palliative nel fine vita?
«Moltissimo, è forse il risultato più importante: dove le cure palliative sono connesse al fine vita le richieste di suicidio assistito calano enormemente. Questo rafforza anche la decisione della nostra Regione che nella Commissione regionale per l’etica nella clinica ha voluto un medico palliativista».
Il problema però è la diffusione delle cure palliative non crede?
«In un recente convegno a Padova è emerso che il 60% dei medici dichiara di non aver ricevuto informazioni sul tema, e il 95% richiede una formazione specifica. Nelle cure palliative bisogna investire, anche dal punto di vista organizzativo».
Cosa pensa della delibera della Regione e del dibattito sulla proposta di legge popolare?
«La delibera è importante, va nella giusta direzione. È però difficile pensare che in Italia ci siano 20 leggi diverse, con fonti diverse. La Consulta chiede non a caso al Parlamento di legiferare. Sul dibattito che dire? È un dibattito all’italiana, fortemente ideologico e fondato su posizioni a prescindere, poco basate sui dati».